TRAMA
1936: un giovane è intenzionato a raggiungere, nel Borneo, un eminente medico per carpirne i segreti nella cura della lebbra e pubblicarli.
RECENSIONI
Tratta da un romanzo dell’olandese Jan de Hartog, co-sceneggiata dall’esperto di drammi esotici John Lee Mahin (Mogambo, L’Anima e la Carne, La Pista degli Elefanti), è fra le opere più impersonali e mal riuscite di Robert Mulligan, incapace sia nella direzione degli interpreti, sia nel mettere ordine in un inarrestabile fiume di parole, con un letto esondante di quasi due ore e mezzo. Sulla carta, invece, il materiale sarebbe perfetto per le sue corde, dal racconto romanzato con forte impronta morale da sviluppare (il protagonista ha una connotazione negativa nella sua ambizione: essendo interpretato da una star, è telefonato il percorso di formazione che lo riguarda), ai curiosi disegni psicologici da restituire con questi “Prigionieri della paura” (titolo, al singolare, del suo esordio): non per niente, la parte più convincente del film sosta verso il finale, quando il personaggio di Rock Hudson affoga proprio nel terrore. I personaggi sono antesignani, nelle indie orientali olandesi, dei medici senza frontiere, con pericolose derive (cinematograficamente parlando) da Storia di una Monaca (1959).