Bellico, Recensione

LA SOTTILE LINEA ROSSA

TRAMA

Guadalcanal, 1944: la compagnia “C” deve conquistare una collina, ma viene decimata da una mitragliatrice. In opposizione: un colonnello arrivista ed un capitano che tiene alla vita dei propri uomini.

RECENSIONI

Torna alla regia, dopo quattro lustri, uno degli autori americani più dotati negli anni settanta della disillusione: lo fa adattando un romanzo bellico di James Jones (1962, già trasposto da Andrew Marton), svuotato di qualsiasi cadenza epica, mostrando gli uomini nella loro sofferenza, nella nudità dell'anima, di fronte alla morte, alle proprie debolezze, consolati dai ricordi dell’amore perduto. Quando può, alza lo sguardo per cercare porzioni di cielo o trova l'immanenza di Dio in una Natura che, con la sua bellezza, fa da contraltare all'orrore delle carni dilaniate dalle bombe, alla violenza della folle guerra (l’unico atto di eroismo, del ragazzo contro la mitragliatrice, è figlio dello squilibrio). La Guadalcanal di Terrence Malick è un Eden stuprato. L'uso dei monologhi interiori è, alla lunga, pomposo e fastidioso, ma permette di porre in primo piano il "sentire" dell'essere umano in battaglia: il protagonista (James Caviezel) ha gli occhi di chi ha visto la "luce", si aggira fra i compagni come un messia di pace; Elias Koteas rappresenta l'uomo pietoso e coscienzioso; Sean Penn il cinico da salvare; Nick Nolte la fame di potere che si nutre di distruzione mentre sentenzia “È la Natura ad essere crudele”. La macchina da presa indugia anche sulla serenità degli indigeni, per il consueto mito del buon selvaggio (da citare la scena dell’aborigeno che passa fra i nervi tesi degli occidentali): è evidente lo schematismo di fondo, ma quello di Malick è grande cinema, lucido e realistico eppure alla ricerca dello spirito, non della materia (per quanto la meravigliosa fotografia di John Toll esalti sia l’incanto dei paesaggi che l’odore della carne bruciata), perché la sofferenza peggiore, in guerra, appartiene all'anima. Sin dalle prime battute, l'autore aspira ad una sorta di misticismo che elevi sopra le meccaniche della vicenda, per rapportare Terra e Cielo, non buoni e cattivi o ideali e ingiustizie: il modo in cui lo ottiene è magistrale. In questo "lirismo straziante" ritroviamo Apocalypse Now, Michael Cimino, L’Arpa Birmana persino Salvate il Soldato Ryan (per la centralità dell’angoscia del soldato qualunque in un impianto corale), ma non il capolavoro che poteva diventare, in quanto il tutto si perde nella propria magniloquenza, diventando monocorde, con una prima parte, chiusa dall’avvincente/avvilente scena della collina, abbagliante ed una seconda, in cui tutto è già stato detto, che pare superflua. Nella sottrazione di stereotipi divistici ed edulcorazioni, è sublime il lavoro con gli interpreti: anche se di fama, sono accorsi a paga sindacale (restando anche esclusi dal montaggio: Mickey Rourke, Kevin Costner, Bill Pullman, Lukas Haas, Gary Oldman).