TRAMA
In una notte buia e tempestosa, una coppia, alla quale si è guastata la macchina, cerca rifugio in una casa di campagna. Vengono accolti dall’anziana Signora Rogers e dalla sua governante, Mildred, che li invitano a interpretare i ruoli dei defunti nipoti della padrona di casa.
RECENSIONI
The Lie Chair fa parte della serie TV Canadese Peep Show, composta da 16 episodi andati in onda sulla CBC Television tra il 1975 e il 1976. Diretto da Cronenberg ma scritto da David Cole, La sedia della menzogna è un racconto del mistero con atmosfere e struttura à la Twilight Zone (il colpo di scena) piuttosto convenzionale nelle premesse (era una notte buia e tempestosa) ma interessante, benché non originalissimo, nei suoi sviluppi fantasmatici. Difficile individuare il polso di Cronenberg dietro alla macchina da presa, visto che la regia è quella che una volta si definiva “televisiva”: essenziale, con pochi movimenti di macchina, votata alla chiarezza espositiva. Tutto è (tele)visivamente classico fino al povero, basti pensare all’incipit, con la pioggia e i lampi teatrali, posticci, che sanno un po’ di Murder, She Wrote. Eppure, i circa ventisette minuti di cui è composto l’episodio riescono ad essere a loro modo perturbanti in senso freudiano, forse – ma siamo a rischio sovrainterpretazione – proprio grazie al conflitto tra una messinscena ordinaria e un contenuto invece inquietante, un contrasto/compenetrazione tra familiare ed estraneo ben esemplificato da una sequenza chiave, ossia quella in cui Carol si rende conto di conoscere particolari quotidiani/fami(g)liari della casa che invece non dovrebbe conoscere (il cassetto in cui si trovano i pigiami) e ne rimane profondamente (per)turbata.
Sono almeno (altri) due, però, gli elementi cronenberghiani ravvisabili in The Lie Chair; il primo è la confusione dei livelli di realtà (Videodrome, eXistenZ), la difficoltà che a volte si riscontra nel capire se ciò che avviene sullo schermo avviene veramente o se è frutto della suggestione più o meno sovrannaturale di cui sono vittime e i personaggi (le voci udite nella stanza, la visione dei – propri - cadaveri nell’auto); il secondo è una curiosa omologia tra il corto in oggetto e un film che arriverà trent’anni dopo, A History Of Violence, anch’esso non completamente cronenberghiano (sceneggiato da Josh Olson, da un fumetto scritto da John Wagner), che in qualche modo riprenderà il tema della sostituzione di un personaggio con un altro, del calarsi in una vita non propria.
