Drammatico, Recensione

LA SCELTA

NazioneItalia
Anno Produzione2015
Durata86'
Tratto daliberamente da L'innesto di Luigi Pirandello
Scenografia

TRAMA

Laura e Giorgio vorrebbero un figlio, che però tarda ad arrivare. Un giorno…

RECENSIONI

«Ah, una follia, sì! E sperai che t'avessi sollevato con me nell'ardore di essa, qua, in mezzo alle piante che pure la sanno, questa mia stessa follia! O che tu almeno me lo chiedessi, come si chiede a una povera folle un sacrifizio ch'essa non sa... della sua stessa vita... e chi sa! Avresti forse ottenuto quello che volevi. Perché non puoi credere ch'io volessi salvare in me chi ancora non sento e non conosco. Io l'amore volevo salvare! Cancellare una sventura brutale, non brutalmente come tu vorresti... [...] Perché tu vedessi tutta me stessa tua , nel figlio tuo: tuo perché di tutto il mio amore per te!»
(III, 4 - L'innesto, Luigi Pirandello)

La dicitura 'liberamente ispirato', che compare, anzi incombe nei titoli di testa, dovrebbe ipso facto escludere qualsiasi paragone tra il film e una delle commedie più lineari e complesse del drammaturgo agrigentino. Ma per l'appunto nella distanza, da ogni punto di vista incolmabile, con il testo di partenza La scelta trova la propria ragione d'essere e, insieme, la ragione del proprio naufragio. Gli sposi messi in scena da Placido vivono una crisi coniugale assolutamente epidermica: il rapporto non conosce crisi di sorta per il figlio che non arriva e, quando Laura rimane incinta (probabilmente, ma non sicuramente, in seguito alla violenza subita), il pensiero di entrambi va non all'altro membro della coppia, bensì al figlio non ancora nato. All'estremo opposto Pirandello, con una modernità che è ancor oggi (e forse oggi più di ieri) sconcertante, si concentra sul rapporto tra i protagonisti, mettendone in luce le contraddizioni e le ipocrisie non meno della violenza dei sentimenti, sottolineando l'ottusa brutalità di Giorgio (qui maldestramente riassunta con un trafiletto di 'violenza domestica', anzi suburbana, da rotocalco) e soffermandosi al tempo stesso sulle ambiguità di Laura, la cui natura sensuale, di una sensualità che si nutre anche della violenza subita, finisce per avere ragione delle incertezze e delle pavidità del maschio. All'estremo opposto si colloca l'edulcorato, edificante finale cinematografico, che riassume come meglio non si potrebbe l'anima stessa dell'opera: una volonterosa miniatura, tirata a lucido e compitata con forzata grazia (gli attori fanno quel poco che possono, ma in assenza di una direzione...), arredata con doveroso sfarzo, impacchettata con qualche finezza visiva (il doppio volto di Laura) così fiacca da non lasciare neppure il tempo che trova. Più che nell'incomunicabilità, il film galleggia nel compiacimento di dialoghi pedanti, ammiccamenti insistiti (i costanti richiami all'infanzia e alla maternità, anche attraverso la mediazione della musica), figure di contorno (la famiglia 'allargata') che ottengono il solo risultato di rendere ancora meno interessanti i personaggi principali, ritratti con un distacco e una freddezza che non si fanno lucida introspezione o impietosa vivisezione di un amore, ma estenuata declinazione di luoghi comuni (non ultimi quelli sulla bellezza dell'arte e del paesaggio pugliese). Alla fine, quel che davvero colpisce, del film, è l'aria perplessa con cui lo stesso Placido (in un ruolo assolutamente pleonastico) lo attraversa.