Spionaggio, Thriller

LA REGOLA DEL SOSPETTO

TRAMA

James Clayton, giovane e scanzonato laureato del Mit, viene contattato dal reclutatore Walter Burke: la CIA ha bisogno di lui. Il corso d’addestramento è duro, s’invagisce d’una collega, viene espulso. Burke lo contatta per un operazione da corpo speciale perché la ragazza è in realtà una talpa che trafuga dati da Langley.

RECENSIONI

Nulla è come sembra. Dissimulare, fingere, manovrare, James Ellroy direbbe "compartimentare": non ci sono legami, non ci si deve far beccare, bisogna saper gestire più scacchieri contemporaneamente.
James ha una voglia matta (almeno così ripetono tutti i personaggi, anche se non sembra molto) di compiacere il suo selezionatore che ha promesso notizie su Clayton senior morto in Perù nel 1990, in circostanze ignote, impiegato della Shell Oil: era un agente CIA? Chi lo sa, il fatto è che questo si dimostra ben presto il punto debole del simpatico giovanotto, intelligente quanto basta, sciocco ben oltre il necessario.
W. Burke è Al Pacino, Colin Farrell l'apprendista cui viene insegnato come essere un'altra persona e come convincere tutti di una menzogna, siamo dalle parti della meta-recitazione. Pacino manovra ed insegna i trucchi a Farrell all'interno della "fattoria" che funge da iper-tecnologica scuola, l'uno affermato attore, grandissimo attore, l'altro una stellina di buone speranze. Anche per la caratterizzazione sulfurea di Burke molto ricorda L'Avvocato del Diavolo: si potrebbe aprire una parentesi su come Pacino (ma non solo, c'e' ben di peggio, De Niro ad es) si peschi sempre gli stessi ruoli. E' assai comodo, redditizio, l'esperienza serve ben a qualcosa… per chi conosce l'attore e la sua filmografia ogni gesto è già visto, ogni movimento della braccia e scarto di velocità. La voce è di G. Giannini, come al solito apprezzabile ma allo stesso tempo poco sfumata, con variazioni di registro che steccano in evidenza col labiale ed ancor di più con la memoria che si ha (si dovrebbe avere) del magmatico flusso, sempre velato di umorismo del Pacino degli ultimi dieci/quindici anni.
Poche scombiccherate righe che dicono del vero motivo di interesse per "La Regola del Sospetto" (The Recruit, titolo molto più interessante per la chiave cui si accennava): a dire il vero più che di interesse si tratta dell'unico pungolo a disposizione per far muovere le pesanti natiche dal comodo divano ed allungarsi verso una sala.
Il regista Roger Donaldson è uno dei fabbricanti hollywoodiani più anonimi e anodini (Il Bounty ('84), Cocktail ('88), Dante's Peak ('97)), incapace di inserire brio (e non diciamo tensione) in una sceneggiatura - Roger Towne e Kurt Wimmer - facilona che abbandona gli spunti d'interesse, cadendo nel facile ridicolo finale, per dialoghi esplicativi ("no, aspetta, prima di spararti e farti fuori, ti racconto per benino cosa ho fatto ed esattamente dove ti ho fregato…", ci voleva anche uno split screen ed un bel grafico) ed inesistente definizione di personaggi: perché mai una spia dovrebbe tradire ai nostri giorni per tre milioni di dollari? Comunque Pacino ha un monologo finale non disprezzabile, una delle rare volte in cui è inquadrato a figura intera (i campi/contro campi in primo piano sono quasi asfissianti per monotonia) e inietta al suo personaggio un certo alone di crudele simpatia. Colin Farrell è un simpatico ragazzone molto in salute (fino al fastidio) che ricorda molto Brenad Frazier, solo senza sguardo da "marmellata?-dov'e'-la-marmellata?!". Bridget Moynahan, apparsa in alcuni episodi di "Sex and the City" (la fidanzata poi moglie di Big) ed altrove senza incisività, è la più bella schiena vista al cinema ultimamente.
E se c'è tempo per dire tutto questo, ammettiamo che La Regola del Sospetto, non vale il tempo del dubbio di domandarsi se i (fin troppo) palesi riferimenti al Kurt Vonnegut di Slaughterhouse Five, Cat's Cradle e Breakfast of Champions siano qualcosa più del pretestuoso.