Commedia

LA RECTA PROVINCIA

Titolo OriginaleLa Recta Provincia
NazioneCile/Francia
Anno Produzione2007
Genere
Durata160'

TRAMA

Paulino vive con la madre Rosalìa nella loro tenuta. Paulino trova un osso nel giardino e lo suona come un flauto. Paulino e Rosalìa vogliono fornire al cadavere degna sepoltura e, con lo scopo di recuperare i resti dello scheletro, si mettono in viaggio. Paulino e Rosalìa fanno strani incontri.

RECENSIONI


E’ sempre più estrema se possibile la poetica di Raul Ruiz: ecco allora un film fiume che, più di tanti altri, incorona la sua ossessione per il verbo “raccontare”. Storie su storie che si incontrano e attorcigliano una nell’altra, che si lasciano e riprendono senza continuità (la cronologia degli eventi, questa malattia da debellare), che proseguono a oltranza e potrebbero non concludersi mai. Da un mero e geniale pretesto – la ricomposizione dello scheletro – si mescolano coordinate plausibili con dati immaginari, restando salde le convinzioni del regista: la collocazione della trama in un tempo sospeso (e fugaci dettagli a segnalarlo: le candele che si spengono e riaccendono), la ramificazione delle ipotesi narrative, i tic grotteschi dei personaggi – non di rado onomatopeici -, la vorticosa moltiplicazione dei caratteri (lo sdoppiamento di Paulino) e in generale l’idea perenne di assistere a una sola declinazione delle x possibilità che la pellicola ci offre. Paulino e Rosalìa si mettono in marcia e incrociano angeli, diavoli, creature ammalianti o minacciose, variamente mitiche, ora eretiche (vedi La via lattea di Bunuel) ora rassicuranti e tradizionali. E’ così che, alla maniera della nouvelle vague, non conta il tempo narrativo ma solo l’intensità del racconto sullo schermo, che può durare 10 o 165 minuti; il cineasta cileno crea una piccola cosmogonia personale, composta da strani incontri e infinite code degli stessi, contro la trama intesa come recinto e in omaggio al potere della divagazione. Figure familiari elaborate, rimasticate e restituite con alcune alterazioni nei propri tratti costitutivi, a dimostrare che una storia si può sempre raccontare diversamente: ci sono altre possibilità, il film è l’altra possibilità. Non manca una serie di sequenze memorabili (almeno una decina): la visita in casa della vedova, una ripresa mirabile che dispone attentamente chiari e scuri, corpi e mobilia, ottenendo un esito sperimentale; la danza notturna di madre e figlio, un coraggioso intermezzo immaginifico/popolare; la cena con la Morte, capolavoro di cinque minuti dove il film getta la maschera e si riscopre apertamente surrealista.Le solite freddezze e incomprensioni accompagnano questo lavoro di Ruiz, un progetto forte del successo in patria che continuerà. Il regista, intervenendo al Festival di Roma 2007, si era augurato un’impossibile uscita italiana; quanto radicale è il risultato finale, infatti, tanto i nostri mercati si sono mostrati resistenti e distratti. Grandiosi i due interpreti, Ignacio Aguero e Belgica Castro.Un sogno lungo un film.

Raul Ruiz, da dove nasce il progetto del suo film?

E’ una serie in 4 puntate che ho diretto per la televisione cilena; i produttori mi hanno dato libertà creativa totale, esattamente ciò che manca in Europa. Ognuno può vederci quello che vuole, ma sono soprattutto i contadini che hanno afferrano interamente i racconti e le allusioni: la risposta del pubblico è stata straordinaria, tanto che la serie continuerà. Quindi ho deciso di adattare il progetto per il cinema, ma volevo fare un film e non un feuilleton: per questo ho tagliato gli elementi troppo cileni, come i richiami specifici a una squadra di calcio locale.

Come descriverebbe il risultato finale?

Un ritorno al passato che mescola folklore e tradizione, e insieme ricapitola molti film della mia vita. E’ un gioco di scatole cinesi: una parte è ispirata a Le mille e una notte, l’altra alle teorie di fisica quantistica. Ma la base di partenza sono soprattutto le storie che ascoltavo da bambino: parlavano di pirati, licantropi, santi, vergini e diavoli. E anche di Gesù Cristo.

Ci può spiegare questa figura?

Si tratta di un incrocio tra cultura romana e tradizione germanica. Compare un Gesù agnostico che, come narra la leggenda, non è mai asceso al cielo ma è rimasto in terra per provare ad aiutare gli uomini. Con una particolarità: nel frattempo è diventato vecchio e nessuno lo riconosce. Nel mio film ci sono due eresie ogni cinque minuti.

Perché ha scelto di attingere alla tradizione popolare?

Il folklore nasconde, conserva e fa uscire fuori le storie quando vuole. Volevo fare un film teorico che riflettesse prima di tutto su me stesso: ad esempio, ho scoperto che la zeta del mio nome ha origine germanica. Vede? Ci sono alcune storie che incontrano altre storie, e così via fino a formare una galassia. Naturalmente, la metà dei racconti sono completamente inventati da me.

In particolare, a cosa si è ispirato?

Ho raccolto le singolarità di diverse culture e le ho rapportate fra loro. I maggiori spunti provengono da Europa e India, ma anche dai testi di San Gennaro: è lui che ha introdotto i precetti alimentari del Venerdì Santo e la tradizione di conservare le ossa. Come risulta evidente, è stato fondamentale conoscere la letteratura ma prima ancora l’antropologia: soffermarsi sulla tradizione per spogliarla e vedere quello che c’è dietro.