TRAMA
Un gruppo d’attori girovaghi attraversa la Storia tormentata della Grecia, in un periodo che va dagli anni trenta agli anni cinquanta.
RECENSIONI
L’esercito di Papagus e poi, a ritroso, ricordi dal 1922 (la guerra contro i turchi), vite spezzate durante l’occupazione nazista, la Resistenza, la guerra civile, l’invadenza degli inglesi. Il sipario s’apre e si chiude, il pubblico, fra denunce e tradimenti, applaude, organizza cortei, canta canzoni e diventa egli stesso attore. La Storia è una recita e le piazze, le strade, le abitazioni diventano il palcoscenico dell’uomo greco, scisso fra le bandiere della restaurazione e del comunismo. Questa rappresentazione sfuma nel privato dei protagonisti, attori di professione intenti ad inscenare il dramma bucolico di Peresiadis “Golfo la pastorella”: cammina, cammina, i Nostri si muovono nello spazio e nel tempo, arrestandosi tre volte per dare una testimonianza diretta di fronte alla macchina da presa. Anghelopulos preferisce riprendere tutto in campi medi e lunghi, per comprendere (in entrambe i sensi: capire e raccogliere) e allo stesso tempo osservare criticamente i fatti narrati: il piano sequenza con morbidi carrelli e montaggio interno è la cifra stilistica ideale per ottenere lo straniamento brechtiano e, al contempo, partecipare intensamente. Il primo tempo sospende, incanta e squarcia la visione: l’autore ottiene ciò attraverso un ritmo rilassato che viene sovente ed improvvisamente “disturbato” da folgoranti impennate liriche, musicali, tragiche, bizzarre e piccanti. I singhiozzi della figlia che scopre la madre a letto con l’amante, il sogno con un ritorno all’utero del figlio, la risata di fronte alla divisa militare, l’umiliazione sessuale del militare allupato, la fucilazione attonita (il “morituro” saluta i carnefici: “Io vengo dalla Jonia, e voi?”), la perversione consumata in cantina, lo stupro di gruppo in maschera, il Bulli e Pupe durante la festa di capodanno. Mentre la fisarmonica suona, la “fuga” è nel musical. Una generosità non mantenuta nella seconda parte ove cominciano a pesare le ore (quattro) e le sequenze oltremodo lunghe: la loro natura episodica non si ricompone in un atto a chiusura circolare. Lo spossante peso della Storia contamina anche il film che pare girare a vuoto, salvo terminare con un emblematico matrimonio USA/Grecia, rifiutato dalle nuove generazioni. Non giova certo l’intensificazione della matrice politica: Anghelopulos si schiera doverosamente a sinistra ma lo urla in modo assordante, rischiando di vanificare la poesia e l’impegno civile stesso.