TRAMA
La svampita Gladys Glover vuole farsi un nome a New York: lo fa affittando un cartellone pubblicitario che lo riporta a caratteri cubitali, contro le proteste di un documentarista innamorato di lei. Il successo arriva.
RECENSIONI
Fra i tanti meriti di Cukor, c’è anche quello di aver lanciato il talento comico di Judy Holliday, per cui compose una sorta di trilogia, a partire da La Costola di Adamo e passando per Nata Ieri (che le valse l’Oscar). Di quest’ultimo riprende il tipo di personaggio, lo sceneggiatore (Garson Kanin) e la trama edificante che, nella seconda parte, diventa ingombrante (”Resta nell’anonimato, è fatuo cercare la notorietà a tutti i costi”). In Italia, l’attrice ha lasciato meno il segno a causa di una doppiatrice creativa e mal diretta che la restituiva con voce impastata e toni robotici: la vis comica di Kanin non è irresistibile (per quanto la sua idea di partenza del cartellone pubblicitario sia geniale), ma quella di Judy Holliday, in originale, sì. La regia, a parte ciò, è davvero encomiabile per il modo in cui riesce a fare satira di costume sulla cultura di massa cavalcando i suoi dictat pubblicitari: la donna media americana resa “regina” del processo di identificazione globale, la notorietà che si basa solo sulla visibilità, con niente dietro. Cukor sa movimentare il discorso ed essere inventivo a vari livelli: passa al setaccio le regole dal mondo della televisione e quelle reclamistiche, lasciando al cinema (ai documentari del personaggio di Jack Lemmon, nella fattispecie) la fiaccola della “verità”, nel momento in cui la dichiarazione d’amore è fatta attraverso una proiezione “privata”, non pubblica. Da mandare a memoria anche la scena del litigio sulle scale, con Judy Holliday che le risale in continuazione per dire la sua. Last but not least: fu George Cukor a far esordire, da protagonista, Jack Lemmon.
