TRAMA
Jennifer è un’insegnante di 35 anni, ancora vergine, che vive da sola con la madre in una cittadina del New England.
RECENSIONI
La prima volta di Paul Newman (a parte il cortometraggio del 1961 “The harmfulness of tobacco”): splendido esordio di un attore splendido (in tutti i sensi), che dirige l'amata (e divinamente brava) moglie sulle note della raffinata sceneggiatura di Stewart Stern (Gioventù Bruciata), premiata con l’Oscar. Insieme danno vita ad un memorabile ritratto femminile: una zitella oppressa dalla madre e repressa sia sessualmente che da un carattere eccessivamente introverso e schivo. Newman mette in sobrie immagini anche i suoi desideri inconsci (contraddittori come le due personalità con cui Jennifer inscena colloqui) ed i suoi ricordi infantili: proprio un flashback di questo tipo rivela che è legata all'infanzia la gabbia in cui la protagonista s'è rinchiusa, una "bara" che tenta di farla assomigliare ai cadaveri che il padre becchino imbalsamava. Per attirare le attenzioni del genitore, si finge morta e, forse, ha continuato a farlo per tutta la vita (chiedendo, come gusto gelato, solo e sempre la vaniglia). Uno scherzo del destino provvidenziale (il titolo del romanzo di Margaret Laurence da cui l'opera prende le mosse è "A jest of God") le fa incontrare Nick, ma anche l'happening dei fanatici religiosi e il bacio dell'amica lesbica l’aiutano a scuotersi dal torpore, da questa sua desolante impotenza. Un'opera matura ed audace, prodotta in indipendenza dallo stesso Newman (che s'è aiutato con la pubblicità occulta del whisky "J&B"). Ma perché, in italiano, Rachel è diventata Jennifer? Così è impossibile notare che il nome sulla tomba di famiglia, già segnato, è proprio il suo.
