Recensione, Western

LA PISTOLA SEPOLTA

Titolo OriginaleThe fastest gun alive
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1956
Genere
Durata92’

TRAMA

1889: nella piccola cittadina di Cross Creek, la moglie è preoccupata per il marito, insofferente al mestiere di bottegaio e sempre più nervoso. Stufo di essere considerato una nullità dai concittadini, l’uomo riprende a bere e dimostra a tutti la sua abilità con la pistola. Non vuole più fuggire per evitare che un pistolero venga a sfidarlo.

RECENSIONI

L’ingiustamente dimenticato Russell Rouse (La Bambina nel Pozzo, La Spia) offre un’altra opera fuori dell’ordinario e peculiare: un anti-western, in tutti i sensi. Non solo in quanto psicologico (ogni personaggio/pistolero nasconde un trauma, una motivazione introspettiva all’agire) ma anche perché, contrariamente a tutti i cliché e all’epica del genere, è osservato da occhi alieni alla violenza di frontiera, da quelli femminili e di civili pacifici, fino a quelli di un reverendo. Lo stesso protagonista è combattuto fra il dimostrare, a se stesso e agli altri, di essere qualcuno, un vero “uomo” e la promessa fatta a una donna incinta che desidera un’esistenza di quiete. Oltretutto, e misteriosamente, si comporta come un tossicodipendente: con sorprese ripetute, l’opera di Rouse, tratta da un soggetto di Frank D. Gilroy (quello di La signora amava le rose) già trasposto per il piccolo schermo nel 1954 (The Last Notch), pare prima paventare l’ossessione per la pistola, poi svia sull’alcolismo, infine introduce le tracce di uno shock nel passato dell’uomo, che svelerà solo alla fine, stupendo lo spettatore nella sua paradossalità. Per quanto persino gratuito nell’economia drammaturgica del racconto, il film contiene anche un balletto acrobatico di Russ Tamblyn da antologia.