Biblico, Recensione, Religioso

LA PASSIONE DI CRISTO

TRAMA

Le ultime dodici ore di vita terrena di Cristo.

RECENSIONI

La Violenza prima di tutto

Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità, per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Isaia (53,5)
Questa cruenta citazione biblica, posta a inizio pellicola, suona un po’ come dichiarazione d’intenti e insieme preliminare spiegazione autodifensiva: il film sarà sgradevole e violento, sembra volerci dire il cattolico preconciliare Mel Gibson, ma non venitemi a dire che lo è in modo gratuito. Il primo problema è però di ordine squisitamente cinematografico, ossia, non il “perché” (la sofferenza è parte integrante della passione ed è giusto mostrarla, e qui sorge però un altro problema che tratteremo in seguito) ma il “come” questa violenza viene rappresentata; la strada dell’iperrealismo scelta dal regista, il taglio dei piani, la generosa profusione di plongée, contre-plongée e inquadrature inclinate, l’(ab)uso del ralenti e il drammatico commento musicale, con sventagliate d’archi ed enfatici cori, stridono non solo con la sacralità del tema trattato ma anche con molte delle altre scelte artistiche che (mal) convivono all’interno del film, prima fra tutte quella della lingua…

La questione della Lingua

Nell’ottica di assoluto rispetto delle fonti e di massima attinenza alla realtà dei fatti*, La Passione è recitato in ebraico, aramaico e latino, scelta teoricamente lodevole. Si potrebbe forse obiettare che il generoso lavoro di traduzione del gesuita William Fulco sia per forza di cose approssimativo (la reale pronuncia del latino dell’epoca, ma soprattutto dell’aramaico, ci è sostanzialmente ignota) ma trattasi di appunto lanacaprinesco, così come parimenti perdonabile ci sembra l’aggiunta dei sottotitoli in lingua moderna imposta a un riluttante Gibson da coproduttori e distributori, ma la vera questione è un’altra e di importanza fondamentale. Questa manifesta (almeno a parole) volontà del regista di girare un film estremo, rigoroso e per certi versi “definitivo” non si è tradotta in scelte artistico/registiche coerenti e adeguate. La messinscena di Gibson ha poco o nulla di veramente coraggioso e sa invece molto di codificata spettacolarizzazione: barocchismi registici, musiche kolossali, efficaci ma scontati passaggi narrativi (il montaggio parallelo di Maria-Madre che soccorre il Figlio Gesù / bambino dopo una banale caduta / adulto durante il calvario) si scontrano irrimediabilmente con la volontà di girare un non film unico nel suo “genere”. La violenza redentrice è estetizzata, il trasporto cercato artificiosamente (il che va benissimo in Braveheart meno in un’operazione come questa) e il contenuto mistico sostanzialmente invisibile, celato da una robusta sovrastruttura – lo dico?- hollywoodiana… quello che sfugge è dunque, paradossalmente, il senso ultimo del film: cosa voleva veramente Mel Gibson? Davvero era sua intenzione “mostrare la passione di Gesù Cristo proprio nel modo in cui è avvenuta” (ipse dixit)? La singolare scelta delle fonti operata dal regista certo non corrobora la causa della chiarezza…

Fonti “ufficiali” * e antisemitismo ufficioso

La presunta fedeltà di Gibson ai vangeli, interpretati “alla lettera” secondo le parole dello stesso regista, risulta alla fine quantomeno parziale se non addirittura arbitraria. Prima di tutto, una fusione dei quattro vangeli implica già ipso facto una selezione orientata della verità, una versione “personale” e alcune scelte di campo: se è vero infatti che nel racconto della Passione gli evangelisti sono abbastanza concordi (quella della Passione è la parte del Nuovo Testamento in cui il “sinotticismo” è più evidente), è altrettanto vero che ci sono differenze di non trascurabile entità: l’episodio di Pilato che “si lava le mani” sulla questione della condanna a morte di Gesù si trova solo in Matteo, quello in cui Gesù è sottoposto al doppio giudizio (assolutorio) di Pilato ed Erode prima che gli ebrei ne pretendano comunque la crocifissione si trova solo in Luca, quello in cui lo stesso Pilato fa flagellare Gesù per tentare, di fatto, di salvargli (inutilmente) la vita si trova solo in Giovanni. Combinare le tre versioni e mostrare tutti i suddetti episodi (come ha fatto Mel Gibson)  non alimenta legittimamente i sospetti di una lettura antisemita della vicenda? Per tacere della caratterizzazione piuttosto macchiettistica che il film fa degli accusatori di Gesù... se a questo si aggiunge che Mel Gibson è un cattolico pre-conciliare e che dunque non accetta le correzioni “anti-antisemite” del Concilio Vaticano II riguardanti proprio l’interpretazione della Passione, si capisce l’aura di sospetto che ha da subito circondato il film. Ma c’è dell’altro. Oltre alle Scritture ufficiali, un’altra fonte dalla quale Gibson ha attinto sono stati i diari della suora agostiniana Anne Emmerich, vissuta tra ‘700 e ‘800, nei quali sono annotate le di lei visioni estatiche riguardanti la Passione di Cristo. Gli scritti della Emmerich (che pare fosse, tra l’altro, una conclamata antisemita) non sono riconosciuti dalla Chiesa, eppure la loro presenza nel film è tutt’altro che trascurabile e riguarda (oltre alla figura del Diavolo, ai mostruosi tormenti di Giuda e molto altro ancora) anche la scena della flagellazione. La cosa non è di secondaria importanza. La virata “fisica” del film (nonché “pietra dello scandalo”, per così dire) si ha proprio durante l’interminabile, rallentata, minuziosa, parossistica sequenza della flagellazione di Gesù. I vangeli, quelli che Gibson dice di interpretare alla lettera, liquidano l’episodio in poche righe: Matteo e Marco scrivono “... dopo averlo fatto flagellare”, Luca non ne fa cenno, Giovanni scrive “... lo fece flagellare”. Punto. Quello stesso episodio diventa invece il dilatato fulcro emotivo del film ed è basato, ispirato, dedotto da un testo visionario ignorato da storici e religiosi. Niente male per uno che aveva l’intenzione di mostrare (rivelare?), finalmente, “la Verità”. Un dubbio: e se Mel Gibson ci avesse preso solamente per il culo?…

Povero Cristo –o- “del ricatto mistico”

… ossia: fino ad ora abbiamo dato per scontata la Buona Fede del credentissimo, tridentino Mel, il quale ha tra l’altro detto di aver girato il film per volontà di Dio e direttamente ispirato dallo Spirito Santo, ma se le cose non stessero così? se quello di Gibson fosse semplicemente un film furbo? Visto come “solito film scandalo insincero e lucroso” La Passione diventa improvvisamente più chiaro e di immediata, facile lettura. Il tema è di quelli che attirano l’attenzione “a prescindere”, la realizzazione contiene elementi (vedi la lunga scena della flagellazione) costruiti ad hoc per far discutere, la messinscena è comunque in massima parte familiare a chi è abituato ai kolossal americani, alcune scelte coraggiose (la lingua) ingrossano magistralmente il polverone e gettano fumo negli occhi, la devozione del regista sbandierata ai quattro venti e le sue singolari, personali anomalie (la scelta, come fonte, della Emmerich, della quale Gibson conserva pure una reliquia che porta sempre con sé e mostra ai suoi intervistatori) fanno il resto. Chi se ne frega se la “sostanza” non c’è e se la figura di Gesù ne esce scarsamente caratterizzata e del tutto priva di fascino? - (perché ricordiamo tra parentesi che il “povero Cristo”, nel film, è rappresentato come un corpo martoriato o poco più e che gli accenni, dei timidi flash-back, al “perché” del martirio e dunque alla statura del personaggio sono del tutto insufficienti a renderlo, nell’economia del film, figura di un qualche interesse “superiore”) -. Last but not least, non scordiamoci del potere ricattatorio del fattore religioso, un’arma di (auto)difesa potentissima che protegge da gran parte delle potenziali critiche ed illazioni – ossia – se un (super)credente ha deciso di girare un film sulla Passione di Cristo, anche se brutto, pacchiano o inconcludente, non può che averlo fatto con sincerità e devozione, ed è comunque meritevole di essere “assolto”. Confidando in questo, ci si potrà anche permettere di merchandise-izzare simpatiche t-shirt “passionali” e ciondoli-chiododellacroce di vari prezzi e misure (http://www.sharethepassionofthechrist.com/) sicuri di farla comunque franca, o perlomeno certi che uno spesso, ipocrita muro mistico rispedirà molte delle accuse al mittente. Ma al di là di tutto…

Giudizio Universale

The Passion of the Christ è un brutto film.

Lasciando da parte la filologia “religiosa” presunta, il fanatismo del suo autore dietro le righe, restano da carpire le componenti di “cinema”, e si può arrivare perfino ad apprezzare le varianti da scult Esorcistizzato dell’opera o il coraggio di certe scelte stilistiche/formali/etiche (per quanto disapprovabili). L'insistenza macabra e morbosa sui martoriamenti è da leggere come un modo di pensare alla religione=espiazione che ha permeato per secoli la nostra civiltà: non la si deve sottoscrivere, ma nemmeno condannare. È un punto di vista, la concezione autoflagellante cristiana basata sul complesso di colpa. Parlando di cinema e solo di questo, il film pecca d’essere carente di pensiero e motivazioni all’agire. Si ritrova la stessa "passione" epica delle battaglie di Braveheart, la stessa originalità nello splatter inserito in un impianto classico, gli stessi meccanismi facili per coinvolgere e, cosa peggiore di tutte, gli stessi antagonisti cattivissimi inverosimili. Per Gibson non conta la psicologia ma solo il pathos. Tutto hollywoodianamente spettacolarizzato e, al contempo, così distante dalla Mecca del Cinema. Questo film è davvero un oggetto strano, non riuscito ma originale. I romani rozzi e sprezzanti che Gibson elenca nei titoli di coda si specchiano nel suo cinema, grossolano e sprezzante: questo il difetto, l'unico e grave. Se gli ebrei si sono lamentati di come sono stati dipinti, cosa dovrebbero dire i romani, con quei tre aguzzini che, nonostante gli ordini di trattare bene il Messia, continuano a malmenarlo all’inverosimile? La violenza gratuita è la cifra stilistica inutile del film, dato che lo scopo era mostrare la sofferenza di Gesù, non la crudeltà da fumetto dell’uomo. E poi sono molti gli elementi degni di nota: i brevi flashback che entrano in parallelo, la scena dell'impiccagione di Giuda, la maschera della Celentano, i volti sudici e sdentati dei legionari, alcune pagine potenti, merito anche del commento sonoro grave, la bellezza della scena della goccia (ma è meglio lo spegnersi del battito cardiaco). Però c’è davvero il rischio di fare un atto immorale alla Gaspar Noé di Irreversible.