Drammatico

LA PARANZA DEI BAMBINI

TRAMA

Un gruppo di ragazzi pronti a sparare, spacciare, derubare, uccidere, tutto pur di prendere il potere. I loro soprannomi sono apparentemente innocenti (Maraja, Pesce Moscio, Dentino, Lollipop, Drone), ma non esitano a salire sul motorino per compiere i crimini peggiori nel nome del dio denaro. Avere il controllo dei quartieri è tutto, urge sottrarli agli avversari, ogni mezzo è quello giusto secondo la non-legge della strada.

RECENSIONI

Napoli, anno zero: Nicola e la sua banda rubano il grande albero di Natale in Galleria Umberto I (è l'ormai celebre vicenda di "Rubacchio") che useranno poi per alimentare un falò durante la tradizionale festa di Sant'Antonio. Attorno al fuoco, cameratismo e cori da stadio, i volti e i corpi dipinti col carbone, filmati come se fossero parte di un rito ancestrale che è già, per certi versi, un'importante cerimonia di passaggio. Nella sua perfetta e opposta circolarità (si apre con un campo lungo luminoso al cui centro c'è un albero di Natale e si chiude con un campo lungo notturno che vede, di nuovo al centro, un enorme falò) il prologo de La paranza dei bambini già offre, con una capacità e un'immediatezza di sintesi visiva che lasciano davvero a bocca aperta, le coordinate emotive dei personaggi del racconto. Dall'albero al fuoco, dal Natale al falò, dalla serenità della fanciullezza alla morte: perché in quel mondo e fra quelle fiamme è l'infanzia (e quindi l'innocenza) a bruciare troppo rapidamente, a consumarsi anzitempo.

Dopo Alì ha gli occhi azzurri e Fiore, Claudio Giovannesi torna ad esplorare situazioni problematiche di marginalità giovanile, facendo ancora una volta attenzione ad avvicinarsi quanto basta ai suoi protagonisti e allo stesso tempo a tenersi lontano da qualsiasi giudizio o sentenza di carattere morale. Nessun voyeurismo dunque, nessuna spettacolarizzazione degli eventi; ma neppure una freddezza di sguardo che sarebbe risultata inevitabilmente programmatica e disarmonica nei confronti del mondo messo in scena. A Giovannesi interessa costruire una sintonia prima di tutto emotiva con i suoi personaggi, per poi restituire sullo schermo una visione d'ambiente tutt'altro che calata dall'alto e invece filtrata attraverso gli occhi ingenui e (non più) puri di un ragazzo. Proprio per questo, al realismo della camera a mano e del pedinamento per mezzo di controllati e mai estetizzanti piani sequenza, Giovannesi affianca momenti di poesia e lirismo notevoli (su tutti, ovviamente, la scena dei palloncini rossi): sono piccole parentesi, ultimi e dolorosi residui di una leggerezza infantile che ogni tanto riaffiora ancora, ma che ormai, nei fatti, non c'è più.

In fin dei conti, Nicola e i suoi compagni sono ragazzi come tanti. Vogliono un tavolo in discoteca e le magliette firmate, vogliono rendere felici i genitori e ritagliarsi a tutti i costi il proprio posto nel mondo. Nient'altro che giovani in cerca di un'identità: in questo senso è davvero straordinaria la sequenza del primo omicidio di Nicola, nella quale si insiste molto, prima e dopo l'azione, sul travestimento e sul trucco. Quando, a gesto compiuto, Nicola si lava il viso, lo sguardo spaventato e confuso è quello di chi sa di aver superato un altro, l'ennesimo, rito di iniziazione. Da lì non si torna più indietro.
Il mondo raccontato da Saviano e Giovannesi ne La paranza dei bambini è un mondo dominato dal tempo presente, da un'immediatezza che stritola sul nascere qualsiasi ambizione che non sia quella criminale. Del domani non c'è neppure il pensiero; non c'è una vera alternativa a quella vita, tutto è già scritto, tutto è già determinato. Non c'è un oltre. Nicola non guarda a Scarface e a Miami come i ragazzi di Gomorra, la sua vita da sogno è lì a due passi, in Puglia. Come il piccolo Totò del film di Garrone (ma con una convinzione e una determinazione nell'agire che non sono neppure paragonabili, da tanto sono distanti), l'ingresso nella vita criminale arriva naturalmente, senza che vi sia alcuna possibilità di scelta.
Ecco allora che in questo mondo e con queste regole, perfino il racconto di formazione, inteso come ricerca e raggiungimento di una consapevolezza di sé, perde completamente di senso. Perché alla fin fine, nonostante gli sforzi, non c'è nulla da cercare. Perché si può solo seguire un percorso prestabilito. Perché non esiste un futuro.
Il finale è aperto. Il racconto più chiuso che mai.