LA NOTTE DEL MIO PRIMO AMORE

  • 65703
NazioneItalia
Anno Produzione2006
Genere
  • 66733
Durata82'
Sceneggiatura
Montaggio
  • 42786
Musiche

TRAMA

Tranquilla cittadina di provincia: un serial killer fissato con le 17enni le rapisce, le tortura e le uccide. Chiara, 17 anni (ahi!), viene lasciata dal fidanzato Andrea e così finisce tra le braccia del bel Matteo, che la porta a trascorrere la notte in una villa isolata…

RECENSIONI

Dispiace parlar male di un prodotto sulla carta “simpatico” ma insomma il troppo è troppo. In verità già le strategie di lancio del film, al grido de “il primo teen horror italiano”, tendevano al penoso andante… ma come, il teen horror USA è sepolto sotto ere geologiche di rimasticamenti vari, in tutti i gradi possibili di auto-meta-referenzialità, e nell’anno del signore 2006 arriva il primo esemplare nostrano? Vabbè, stiamo a vedere. Opera prima, girata in digitale, di un ex fonico di buona esperienza (Non ho sonno, Baci e abbracci), un cast, come si dice, giovane e volenteroso, budget modesto, operina buttata nella mischia dei grandi schermi estivi e pronta per l’esportazione. Progetto dunque simpatico, si diceva all’inizio, risultato indecente. Molto presunti teen ager, rigidi e monocorde, sono costretti da una sceneggiatura criminale a farfugliare cose come “Matteo è un fico da sballo [sospiro]” (sic) e “forse sono troppo suora, dovrei essere un po’ più troia [risatina]” (è così). La videocamera a mano li segue nelle loro giovanilistiche peripezie, false come banconote da 16 euro, fino a che la protagonista non finisce a Villa Argento (!) con un tale dall’espressività vulcaniana. Qui la regia, con mirabile colpo suicida, rovina l’unica “idea” che sembrava destinata a sorreggere il film (il vulcaniano è il serial killer?) chiarendo, con un breve inquadratura inserita in montaggio alternato, che no, il vulcaniano non è il serial killer e che il serial killer è in realtà Leatherface; lo spettatore è così finalmente libero di annoiarsi quanto e come più gli aggrada. Anche perché la fotografia, già tarata decisamente sullo “scuro d’atmosfera”, decide di virare senz’indugio al “nero inintelligibile” lasciando all’immaginazione di chi guarda buona parte dei venti minuti finali che comunque, si intuisce, non avrebbero narrativamente senso neanche illuminati a dovere. Il basso costo semi-artigianale non può essere un alibi per proporre cose del genere a un pubblico, ahimè, pagante.