Horror, Recensione

LA MOSCA

Titolo OriginaleThe Fly
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1986
Genere
Durata100'

TRAMA

Il giovane scienziato Seth Brundle sta compiendo esperimenti sul teletrasporto seguito dalla giornalista Veronica. Quando decide di verificarli su di sé una mosca entra inavvertitamente in una delle capsule modificando radicalmente i risultati della sua ricerca.

RECENSIONI

C’è una sequenza straordinaria che pone La mosca di Cronenberg molto al di sopra di un semplice remake dell’ottimo film di Kurt Neumann del 1958 dal titolo omonimo (nella versione italiana un suggestivo quanto insensato L’esperimento del dottor K) ed è la scena in cui è Cronenberg stesso, nei panni del ginecologo, a tirar fuori dal ventre di Veronica/Geena Davis un feto-larva di mosca. E’ già tutta qui l’endemicità del cinema di Cronenberg, gli è sufficiente una sequenza per diffondere il morbo-cinema attraverso l’illusione dei corpi contaminati, de-genera(n)ti. Il sogno, o meglio l’incubo ossessivo della presenza/assenza del corpo ci costringe a una prolungata metabolizzazione del poter essere cinema dell’oggetto rappresentato, dell’immagine cinematografica che anela l’oggettualità, la terza dimensione mentre è imprigionata nella necessità spazio-temporale del cinema, è l’illusione scientifica di Seth Brundle, quella di riproporre atomisticamente gli oggetti spostandoli da un punto A ad un punto B con l’ulteriore illusione di attestarne una qualche veridicità mediante il mezzo supremo della finzione: la telecamera. E’ l’illusione medesima del cineasta, ma anche dello spettatore, di credere che gli possa bastare guardare un oggetto per crederlo vero, reale, come se davvero fossimo disposti a credere che un oggetto per il fatto stesso di essere catodizzato possa essere eo ipso reale. Non è concepibile dunque iniettarsi questo flusso simbolico che ci scorre sotto pelle così come scorre sinuosamente, subdolamente con la pellicola, altra pelle, altro strato simbolico, altra illusione corporea, se non ci lasciamo attraversare subliminalmente dalle tracce di Videodrome come metafilm necessario ed essenziale di tutto il cinema cronenberghiano. Ciò che ci sembra poterci appagare del solo e seppur poco semplice discorso sul corpo non è che un ossessione che ne scherma (guarda caso) una più profonda, come un parassita che si nutre della nostra paura e del nostro desiderio di vedere un corpo che non è (più) tale, perché di fatto non lo è mai stato.
Naturale che in un cinema plurilivellare come quello di Cronenberg si offre, affascinandoci, questa estetica del corpo contaminato, ed è altrettanto naturale che Cronenberg, al di là di ogni possibile declinazione di genere (l’horror, la fantascienza etc.), sia molto più interessato all’aspetto mostruosamente metamorfico del racconto di Langelaan che a quello bioetico perseguito, comunque splendidamente, soprattutto nel rendere il rapporto hybris-nemesis, da Neumann. Se come sosteneva Aristotele l’essere si dice in molti modi, per il cineasta canadese quello più eminente è quello della corporeità, anche come possibilità di divenire altro, sperando di riuscire a ca(r)pire filmandola, come Veronica, l’intimità, la segretezza di questo quid che sfugge, che si perde o che semplicemente si con-fonde (proprio come la mosca, questo essere repulsivo per quel suo eccessivo “trasportarsi”) nel corso della trasformazione dal sé all’altro, dalla “bistecca a” alla “bistecca b”. Straordinario anche tutto il sovratesto melò tracciato sul modello esemplare del mito de La bella e la bestia, questo amore folle e tragico inseguito e perduto, dalle strade illuminate di Toronto agli oscuri anfratti del garage/laboratorio, inconfondibile (poiché fin troppo tipizzato, soprattutto nel decòr) antro dello scienziato/mostro, in uno sprofondamento cromatico che inizia abbacinando con il lucore del gala degli scienziati per calare pian piano in un livido scenario dalle cupe e claustrofobiche atmosfere tinteggiate di marrone-carne in disfacimento. La lucida follia di Cronenberg ha generato ancora una volta il suo monstrum. La mosca è dentro di noi, fallicamente, parassiticamente, come sogno/incubo di contaminazione, come illusione del (poter essere) corpo, come feto, come larva, come cinema.