Biografico, Drammatico, Focus, Sala

LA MOGLIE DI TCHAIKOVSKY

Titolo OriginaleŽena Čajkovskogo
NazioneRussia, Francia
Anno Produzione2022
Durata143'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Antonina Miljukova, una giovane donna brillante, sposa il compositore Pëtr Tchaikovsky. Il suo amore per lui si trasforma in un’ossessione e la giovane donna viene respinta. Consumata dai suoi sentimenti, Antonina accetta di sopportare tutto.

RECENSIONI

Inizia con il funerale di Tchaikovsky il film di Serebrennikov, anche se il genio a un certo punto torna in vita solo per insultare la moglie che è venuta a omaggiarlo. Dopo aver dichiarato che la odia e che non tollera la sua presenza, ritorna a essere una salma. Uno sguardo all’indietro: la giovane Antonina Miliukova, donna intelligente e di mezzi, incontra il grande compositore senza essere al corrente della sua fama. Se ne innamora perdutamente, oltre ogni ragione: a sostenere questa passione ci sono uno sguardo e un’idea, non una conoscenza vera e profonda, nonostante il concordare esplicito di un appuntamento volto a dichiararsi. La donna non (vuole) comprende(re) le allusioni che Tchaikovsky fa alla sua omosessualità, è pronta a tutto pur di averlo: l’attrazione si è fatta subito ossessione e il musicista, perso nel suo egotismo e quasi lusingato da tanto ardore, con gli occhi puntati alle sostanze che la donna gli offre come parte di un patto diabolico (e che gli garantirebbero quella serenità che l’esercizio della sua arte necessita), accetta di sposarla in nome di un amore che definisce inequivocabilmente fraterno (e di una reputazione che i suoi costumi sessuali evidentemente hanno minato). Sono due diverse cecità quelle che si incontrano, dunque, entrambe fondate sull’asserzione di Antonina: «Non siete come tutti gli altri uomini». Il banchetto nuziale «che sembrava un funerale», il viaggio di nozze segnato da incontri in treno con compagni di bisboccia (e avventure «nello scompartimento a fianco»), gli avvertimenti che più chiari non si può («Scappate da lui»), il pianoforte feticcio che pareva un ponte a unire e si rivela una barriera a dividere la coppia, la presenza costante del servitore-geisha Alyosha non bastano a far comprendere alla protagonista che davvero non è aria. Persino quando Rubinstein si reca dalla donna a parlarle chiaro («Lo lasci andare») ciò che impressiona Antonina è che una persona così importante sia venuta a casa sua a prendere il tè. 

A Serebrennikov, lo dice la didascalia iniziale, preme ragionare sulla condizione della donna russa in un’epoca nella quale una moglie è soltanto un nome sul passaporto del marito: in questo senso Tchaikovsky non è il sommo musicista, ma un’entità mondana e distante, il nome vistoso e riconoscibile che si dà a un principio. Essere sua moglie diventa il modo eclatante, anche scomposto, in cui Antonina rivendica i suoi diritti e assume una dignità in una società ferocemente patriarcale che queste cose gliele rifiuta: se quello di Antonina (l’interpretazione di Alyona Mikhailova è di quelle che lasciano il segno) è un inferno di umiliazioni segnato da un’ottusa negazione, è proprio quell’irragionevole protendersi verso l’uomo a conferirle la forza d'animo necessaria a perseverare nella sua battaglia, è quella cecità a farne un’eroina tragica capace di rivendicare la sua distanza dalla condizione subalterna cui il sesso femminile è confinato nella Russia del tempo.
Serebrennikov conferisce a questo biopic alternativo il consueto furore visivo (il lavoro sulla fotografia che si muove su due tonalità agli antipodi, come i caratteri in disputa: lividissima e fredda oppure ambrata e calda), esaltato da un’invenzione scenica in bilico costante tra un realismo che sa farsi materico e una visionarietà febbrile, in cui l’onirismo (inteso quasi sempre come incubo) incrocia un simbolo che germoglia con naturalezza nella realtà. Un lavoro che conferma l’enorme talento di un artista che produce immagini ragionando in termini di pura messa in scena, qui segnata dai fluidissimi pianisequenza e da un ritmo scandito dai cambi improvvisi di velocità: passaggi convulsi alternati a improvvisi, placidissimi momenti di contemplazione che letteralmente arenano lo sguardo sulla natura, abolendo la figura umana dagli intasati quadri.

Kirill Serebrennikov, regista teatrale e cinematografico russo tra i più autorevoli, dissidente, emigrato in Germania dopo essere stato perseguitato e incarcerato da Putin, con La Moglie di Tchaikovsky realizza uno dei suoi film più belli e potenti. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2022, racconta la discesa agli inferi e il delirio amoroso, quasi mistico e cristologico, di Antonina Ivanovna, moglie del noto compositore e aspirante musicista ella stessa - ribelle e anarchica fino all’annullamento di sé - incapace di accettare la fine del matrimonio e la di lui omosessualità. Tchaikovsky, invece, è un artista libero e libertino, sfuggente e bohémien, che sceglie di sposarsi per interesse, per placare le dicerie sul suo conto. La loro è una relazione bianca, non suturata dalla passione né dal desiderio. Un amore unilaterale e distruttivo che si addentra nei sentieri oscuri dell’ossessione e dell’alienazione mentale. La Russia zarista messa in immagini da Serebrennikov è putrida, cenciosa, sporca e laida. Le strade sono lastricate da poveri e mendicanti; le donne, proprietà degli uomini, castrate socialmente, hanno ben poca possibilità di emanciparsi e restano ostaggio di una società puritana e patriarcale. La malattia, fisica e mentale, nonché la morte, aleggiano in ogni fotogramma. Serebrennikov svela il sessismo e la grettezza culturale di un mondo chiuso e asfittico che condanna l’alterità generando nevrosi e squilibri. E fa precipitare lo spettatore nel vortice psicotico, a tratti horror, della follia sentimentale che non accetta il compromesso né la catarsi. Il cielo di San Pietroburgo è quasi sempre cinereo, le strade limacciose e fangose, la pioggia copiosa e la bruma avviluppano i corpi che, come macchie scure, scompaiono tra i flutti del crepuscolo. La regìa è un tour de force di inquadrature dall’alto, carrelli, piani sequenza, danze macabre piene di onirismo, eros e thanatos. La bellezza formale e pittorica raggiunge vette di perfezione e fastosità straordinarie, pur non scadendo mai nel manierismo. La moglie di Tchaikovsky è un film voluttuoso e sublime che ricrea un mondo (fisico e spaziale, interiore e psichico) abitato dai fantasmi e dalla presenza incombente della morte. La vertigine è totale. La mente annebbiata, preda di visioni e pulsioni non sopite, e il corpo scheletrico e ossificato di Antonina, ritraggono un’antieroina dolente e struggente, quasi archetipica, votata al tormento e al martirio.