Drammatico

LA GUERRA È FINITA

Titolo OriginaleLa Guerre est finie
NazioneFrancia
Anno Produzione1966
Durata120'
Sceneggiatura

TRAMA

1965: Diego è un comunista militante spagnolo in esilio a Parigi e che attraversa da clandestino la frontiera per tenere i contatti con i compagni. Ma i dubbi sulla metodologia usata per la lotta oramai lo rendono scettico sull’effettiva efficacia dell’azione.

RECENSIONI

La Spagna franchista, a fronte del regime a cui è sottoposta, è meta prediletta da quattordici milioni di turisti, situazione che sembra ottundere la coscienza collettiva sul dramma di una terra in cui la guerra è finita solo ufficialmente: la devastazione della dittatura è vissuta quotidianamente da un’umanità che continua a lottare, clandestina, in un mondo apparentemente non devastato. Tre giorni nella vita di un uomo, indicati con estrema precisione (14, 15 e 16 aprile, è la Pasqua 1965), al centro del film, dicono di Alain Resnais alle prese con un nodo contemporaneo, di un lavoro dichiaratamente politico nel quale il Maestro non rinuncia alle sue consuete istanze narrative devianti, alla sua riflessione sul tempo (il periodo è ben definito non solo per sottolineare l’attualità della riflessione, ma anche per evidenziare come la vita del protagonista sia quella che vediamo in quel determinato frangente, un’esistenza che in un altro momento non sarebbe la stessa), facendo leva stavolta sull’aspetto più quotidiano e “ovvio” dell’immaginazione, associando avvenimenti e proiezioni interiori, azioni e riflessioni, piani preordinati e casualità provvidenziali, sentimenti veri e vagheggiati, passando dal presente al futuro (il passato stavolta cede il passo…), giocando d’anticipo sui fatti (la rivoluzione, del resto, è guardare avanti). Diego è un  personaggio complesso e sfaccettato che si muove sul solco pubblico del militante impegnato, che comincia a mettere in discussione molti miti della propria terra d’origine (vista dalla Francia – da lontano la guerra si valuta meglio -), e quello privato dell’uomo diviso tra (un’altra dicotomia si apre) l’amore sensuale e tenero della giovane Nadine e quello quotidiano e ritualizzato della sua compagna Marianne (dualità erotica che si manifesta nelle due speculari e stilisticamente differenti scene di sesso, parentesi di fattura altissima).
Ancora alle prese con personaggi sradicati, marginali, dalle vite indecifrabili e frammentate (Diego assume identità differenti: è anche Domingo, è anche Carlos), che passano da una dimensione all’altra (da una nazione all’altra, da una vita all’altra), penetrando nel complesso percorso mentale (ma non solo, l’uomo è in itinere continuo ed effettivo) del suo protagonista (i tre giorni di vita di Diego, complice un montaggio emozionale e funzionalissimo, si scompongono e ricompongono secondo dinamiche razionali e logiche, quanto immaginose e ipotetiche – scarti continui tra le sue supposizioni/preveggenze e le cose per come si rivelano -), impavido nel toccare nodi cruciali del dibattito dell’epoca (la straordinaria scena del confronto tra Diego, in piena crisi di coscienza, e il gruppo di giovani militanti – il giornale che propaganda il fatidico sciopero generale è autentico ¹) e nell’affrontare il nugolo di critiche che da ogni parte gli sarebbero piovute addosso, Resnais gira un film di rigore cristallino e, per quanto declinato sulla geografia interiore del suo protagonista, nondimeno concreto, vivo, vibrante, il cui finale resta aperto (l’interrogativo sul destino dei protagonisti è  integralmente narrativo: la Storia continua a farsi, la realtà prosegue il suo percorso, il presente scorre).
La sceneggiatura è di Jorge Semprun (sua la voce fuori campo che “detta” le azioni e i pensieri del protagonista), la fotografia maestosa di Sacha Vierny disegna ombre e riflessi (le sontuose immagini in interni) che si scolpiscono nella memoria, Yves Montand è sublime nell’indossare una maschera di gelo impenetrabile, appena scalfita dalla bruciante angoscia che si agita dentro.
Capolavoro.