Commedia, Recensione

LA GUERRA DI CHARLIE WILSON

Titolo OriginaleCharlie Wilson's War
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Genere
Durata97'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Come Charles Wilson, deputato del Texas, sconfisse il Satana sovietico in territorio afgano.

RECENSIONI

La guerra - o meglio la Guerra per eccellenza, il conflitto a volte non silenzioso ma sempre strisciante che ha segnato la seconda metà del XX secolo - in una stanza, in una serie di stanze lussuose o fatiscenti, tra donne splendide e strateghi mascherati da outsider: La guerra di Charlie Wilson non è tratto da un testo teatrale ma sembra esserlo, complici la sceneggiatura scoppiettante di Aaron Sorkin, creatore della serie televisiva The West Wing, e la regia sorniona di Mike Nichols, che dopo il sontuoso Angels in America e il non altrettanto brillante Closer appare quanto mai a proprio agio fra battute al vetriolo, tenaci primi piani e multipli livelli di realtà. Il deputato Wilson, everyman politico per il quale ogni etichetta, persino quella di qualunquista, risulta inadeguata, è il responsabile commerciale di una guerra "umanitaria" determinante per gli equilibri mondiali: il film segue il dipanarsi delle strategie del marketing bellico, dai colloqui formali (la visita al presidente pakistano) agli abboccamenti più o meno clandestini (la danza del ventre a sfumare lo scontro d'inciviltà: semplicemente geniale), dalle feste di beneficenza alle abluzioni postcoitali, sul filo di un dialogo acuminato che riuscirà a trasformare l'esultanza cartoonesca degli insorti afgani nel ritmo imperioso di un paio di tacchi alti. A Nichols, giustamente, non interessa schierarsi, prendere posizione pro o contro i personaggi e le loro azioni, ma esplorare con acume e senza sconti di sorta una situazione drammatica ad alto voltaggio, e lo fa sempre ed esclusivamente ricorrendo agli strumenti che il cinema gli mette a disposizione. Si consideri ad esempio la prima visita di Charlie al campo profughi, il momento in cui il film abbandona le quattro pareti (siano quelle del Congresso (o quelle di una suite piena di ragazze e coca) e si ritrova en plein air: l'inquadratura frontale scivola in una demi-plongée mentre il campo si allarga a dismisura e Charlie si confronta per la prima volta con l'incubo delle persone oppresse dalla guerra, da quei bombardieri russi che si muovono (loro e i loro piloti) come in un videogame. Non c'è in Nichols alcun fremito moralistico, nessuna indulgenza verso la facile retorica, e solo nello sbrigativo finale si avverte il peso della "premonizione a posteriori", del facile ammonimento (gli States hanno vinto la guerra, ma perso la pace), fortunatamente stemperato dal raccontino zen del prefinale. Il regista sa resistere anche a un altro tipo di retorica, persino più diffusa della precedente, quella che impone di "spiegare" ogni cosa invece di suggerirne la presenza e l'essenza: vedi il rapporto (erotico, ma non solo) fra Charlie e Joanne, descritto con pochi tocchi e molte zone d'ombra (il matrimonio di lei). Charlie Wilson's War è infine anche un formidabile congegno di e per attori, che, al di là della consueta infilata di scene di bravura (l'entrata di Gust, la presentazione dell'esperto di armi), si divertono a "pervertire" la propria immagine, filmica e non solo: il "bravo ragazzo" Hanks gioca a fare la canaglia e ci riesce benissimo, ma la sorpresa è Roberts, diva liberal e raffinata per eccellenza, strepitosamente fasulla e perciò insuperabilmente plausibile nei panni della riccastra texana fanatica religiosa, capace di reggere con mirabile nonchalance gli interminabili primi piani della scena della toilette. Scontato rilevare la grandezza di Philip Seymour Hoffman, ma ormai l'abbiamo già fatto.