Drammatico, Recensione

LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA

Titolo OriginaleCat on a hot tin roof
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1959
Durata108'
Tratto dadalla pièce di Tennesse Williams

TRAMA

In una ricca famiglia del Mississipi si festeggia il compleanno del patriarca morente mentre si consumano le lotte per la successione tra i figli e le rispettive mogli.

RECENSIONI

Brooks (autore, quattro anni dopo,  della riduzione de La Dolce Ala della Giovinezza) rimuovendo dalla pièce di Tennessee Williams i fondamentali riferimenti all'omosessualità (il Codice Hays dettava legge) e alla compromettente relazione tra il figlio minore e il suo compagno di squadra, lasciando tutto il dramma di letto con la moglie, Maggie "la gatta", in zona rimozione, moltiplica la morbosità del testo e riempie ogni discorso di non detti pesanti come macigni, allusioni che stringono alla gola: su quello che sembra il campo di una sola partita (l'eredità di Big Daddy, il patriarca sul quale aleggia, pesante, l'ombra nera della Fine) se ne giocano delle altre, solo suggerite ma egualmente decisive. Alcool, sesso sterile e prolifico, depressione e morte, per una classica tragedia di menzogne. Attori meravigliosamente in parte.

Il testo teatrale di Tennessee Williams (1955, regia di Elia Kazan), vincitore del Premio Pulitzer, per quanto “rivisto e corretto” per rientrare nella morale cinematografica dell’epoca, è restituito da Richard Brooks con fedeltà allo spirito feroce se non alla lettera che criticava l’omofobia: il regista, che ha riscritto personalmente la sceneggiatura originale di James Poe, era fermamente convinto che ciò che la censura obbligava a far cadere non fosse centrale. Di diverso avviso il drammaturgo, cui non piacquero lo stravolgimento del terzo atto con la riconciliazione e il taglio netto sul tema dell’omosessualità latente in Brick, rancoroso verso la moglie per una relazione di quest’ultima con “l’amico”: era, d’altro canto, necessario riscrivere il dramma dopo aver spostato i conflitti dalla sfera sessuale alla relazione padre/figlio. In entrambe le “versioni” (teatro/cinema) è il personaggio di Brick a catalizzare l’attenzione nel suo preferire il sarcasmo e l’alcol al giacere con la moglie, che diventa nevrotica (nel film non si dice né suggerisce che sia per frustrazione sessuale); in entrambe le versioni la spiegazione di tale atteggiamento resta per lo più sospesa. Al posto dei Ben Gazzarra e Barbara Bel Geddes del proscenio sono scritturati Liz Taylor (che, durante la produzione, perse il marito in un incidente aereo) e un portentoso Paul Newman, mentre tornano dalla versione sul palcoscenico un magnetico Burl Ives, Madeleine Sherwood e, grazie alle doti del grande “romanziere” dello schermo Brooks, il vigore da dramma del Sud colorato, colorito e bollente. Personaggi colmi di sospetto e odio che, cavalcando certi superbi dialoghi di Williams, si sputano addosso veleno, si gettano fango in faccia e dimostrano di essere, per lo più, sporchi dentro. Grande successo e, a dispetto dei puristi, oggi un classico.