Drammatico, Recensione

LA FOSSA DEI DISPERATI

Titolo OriginaleLa tête contre les murs
NazioneFrancia
Anno Produzione1959
Durata95’
Sceneggiatura

TRAMA

Il venticinquenne François, giovane perdigiorno con problemi di debiti, va a rubare a casa del padre che, dopo averlo scoperto, lo fa internare in un sanatorio, gestito da un medico convinto che bisogna difendere la società dai soggetti pericolosi come lui.

RECENSIONI

Il debutto di Georges Franju nel lungometraggio di finzione pare coerente con i suoi documentari-shock (vedi Il Sangue della Bestia). In realtà, più che il luogo-sanatorio, è protagonista la prova attoriale e da sceneggiatore di Jean-Pierre Mocky (passato alla regia lo stesso anno), non del tutto convincente: da un lato, nell’adattare il romanzo di Hervé Bazin, poeta-scrittore “ribelle” che della rottura con la famiglia fece il leitmotiv della sua produzione, non è in grado di strutturare, come vorrebbe, un climax di impatto; dall’altro, come interprete, è assai debole. Ma l’impronta di Franju si fa sentire fra cinema espressionista, bianco e nero impastato, scene d’effetto (indimenticabile quella in cui la malata mentale ripresa in primo piano, bellissima, s’alza in chiesa e canta in modo angelico), gusto provocatorio (“horror”), situazioni sgradevoli (nel 1959 non era certo consueto mostrare come trattano i malati in un manicomio) o decadenti (la dissolutezza giovanile nel locale-barca, con tre donne che si toccano). Oltre a questa messinscena al contempo realista (nella ricostruzione degli ambienti e delle situazioni) e surrealista (nel senso di Bunuel, di poesia del macabro), è molto innovativo anche il commento sonoro di Maurice Jarre, il vero elemento “folle” della pellicola (che non è centrata sulla pazzia ma sulla medicina che la cura): percussioni incalzanti schizofreniche, archi e quant’altro, sperimentale all’inverosimile. Peccato sia tutto meno scioccante del voluto, dal finale tronco (in cui manca l’informazione “Rinchiuso a vita”) all’apologo di denuncia di una mentalità medica che considerava i malati di mente, prima di tutto, un pericolo sociale da segregare (meglio dieci sani di mente suicidi, perché rinchiusi per errore, che un solo folle violento in libertà): una problematica originale più nel 1948, quando uscì il romanzo, che nel 1959. Il titolo italiano vuole richiamare La Fossa dei Serpenti di Anatole Litvak, ambientato in un manicomio.