TRAMA
Gary King riunisce i suoi vecchi compagni di college per ritentare un’impresa notturna di vent’anni prima non andata a buon fine: un tour alcolico in dodici pub. La tappa conclusiva è quella di bere l’ultima pinta nel The World’s End (La fine del mondo). Un nome che ben presto si rivelerà molto più che realistico…
RECENSIONI
Che cosa accomuna l'apatico Shaun (L'alba dei morti dementi), il compulsivo Nicholas (Hot Fuzz) e il megalomane Gary 'The' King (La fine del mondo)? Un netto rifiuto del presente, nelle sue dinamiche conformanti, ripetitive e a dir poco scontate, una gabbia che solo il deragliamento schizofrenico dentro il Cinema, può rompere, liberando la radice del problema e materializzandola nell'assurdità di un immaginario di genere (sia un horror zombie, un action movie o uno sci-fi) che viene letteralmente bevuto come una fresca pinta di Ale, perché riconoscibile, cinefila replica non-sense, prodotto di consumo e gusto liberatorio. Un cornetto. Si fa presto a comprendere quanto l'apocalisse alcolica alla The body snatcher sia nientemeno che lo stesso passato di Gary nella sua copia presente, indifferente, verso cui lo stesso protagonista deve fare i conti. Perché il vero robot (schiavo), dalla selective memory è proprio lui, incapace di mettere in atto quella libertà cavalleresca tanto canzonata, ostinato come non mai a portare a termine la sua queste e, caschi il mondo (letteralmente), ci deve riuscire. I dodici pub e le sue gesta all'interno, replica e completamento fantasy di quanto accaduto 23 anni prima (The World's end è a tutti gli effetti LA sbronza definitiva), porteranno il Re Gary a riattualizzare il discorso ancora aperto con la sua giovinezza, senza chissà quale morale o rieducazione di fondo. "This civilization was founded on fuck ups!" Le labbra di un ubriaco hanno saggezza da vendere. L'importante è la libertà di poter fare quello che uno vuole, se poi il mondo dovesse finire' let's boo boo!
Con La fine del mondo (l'inutile traduzione urla ancora vendetta) Edgar Wright completa la Trilogia del Cornetto, un espediente promozionale che vede il duo Nick Frost e Simon Pegg, prendersi una pausa dal tran tran generale dell'azione e mangiarsi per l'appunto un cornetto il cui colore cambia a seconda del genere di riferimento (dal rosso sangue di Shaun of the Dead al verde alieno di The World's End, passando per l'azzurro in Hot Fuzz). Tralasciando questa autoironica scelta di marketing, quello che resta è uno sguardo più coerente, capace di far deflagrare i vari modelli di partenza con un vortice visivo e verbale quasi sintomatico, di amore per il cinema di delirante compulsività che sbriciola il referente (anche figurativamente), ma, quasi si trattasse di una calamita, lo riabbraccia (nei tre finali vi è una nuova e necessaria immersione dentro l'immaginario fin lì preso a calci). Tutto questo ridendo, e non è cosa da poco.

Si chiude la ‘trilogia del cornetto’ (cosiddetta perché compare sempre il cono gelato), previ L’Alba dei Morti Dementi e Hot Fuzz (il migliore): dopo la parodia degli zombi di Romero e quella del poliziesco, tocca al fantahorror di L’Invasione degli Ultracorpi rivisto attraverso Essi Vivono (ma gli autori citano La Fabbrica delle Mogli). L’opera si riallaccia maggiormente a L’Alba dei Morti Dementi per temi, risultati e tipo di protagonista (eterno ragazzino in universo fantasy, dove i suoi modi trovano una ragione di essere): dopo le ottime premesse, l’adesione al genere parodiato diventa più convenzione che rilettura. Lo spunto iniziale è da commedia alla Judd Apatow, con l’amara difficoltà di crescere ancorata ad una “notte da Re” del passato per dare senso (e nuovo inizio) alla propria vita. Quando il tentativo di coronare questo sogno fallisce, c’è l’irruzione improvvisa della (fuga nella) fantasia: il nemico, infatti, rappresenta l’omologazione, esseri seri e maturi che cercano di correggere le imperfezioni (= Gary) umane. Si vince ribellandosi e sfanculando. Divertente la parte da Una Notte da Leoni, con itinerario in pub dai nomi che vaticinano il futuro; uno spasso anche il gioco iniziale con Il Villaggio dei Dannati ma Edgar Wright e Simon Pegg, come sempre, in seguito preferiscono sposare appieno il registro di genere anziché mantenere in parallelo anche la sua rappresentazione allegorica, impoveriscono il sottotesto e non apportano sufficienti novità nel genere per giustificarlo. Si chiude con pistolotti da Guida Galattica per Autostoppisti e con controfinali alla Cloud Atlas: nel primo caso, ci si prende troppo sul serio, nel secondo è immancabile, per la trilogia, il cinema western.
