TRAMA
Dopo una serie di incomprensioni con l’amato, Marie St. Clair parte per Parigi. Qui diventa l’amante di un miliardario
RECENSIONI
Chaplin spiazzò tutti, critica e pubblico, realizzando un’opera drammatica al culmine della popolarità come Charlot, estromettendosi come attore (solo un fulmineo cameo come facchino) e presentandosi come autore capace di elegante messinscena e fine introspezione psicologica. Fu, ingiustamente, un fiasco che spinse il regista a ritirarlo dalla circolazione fino al 1976, anno in cui, rimontandolo, lo voleva ripresentare con un nuovo commento sonoro (e un leitmotiv tanto orecchiabile quanto d’effetto). La versione definitiva fu pronta solo nel 1978, dopo la sua morte. Non manca l’ironia raffinata nel disegno di figure comprimarie (il cuoco, il cameriere, la massaggiatrice, i partecipanti al “party selvaggio”, la perfidia delle amiche di Marie St. Clair), in scene molto spassose (il tovagliolo con il buco, l’entrata del “padre”/prete nel finale) o nel disegno del carattere del miliardario (splendidamente interpretato da Adolphe Menjou), con quella sua aria sempre divertita e quel distacco “aristocratico” dalle cose della vita. La sequela interminabile di tragedie melodrammatiche che occorrono alla malcapitata Marie (Edna Purviance, compagna chapliniana da sempre: l’autore voleva con quest’opera “lanciarla” senza l’ingombrante maschera del suo alter ego comico), con (pre)potente gioco del Caso, appartiene al romanzo d’appendice popolare ed è molto coinvolgente (non era certo nelle intenzioni di Chaplin aprire una parentesi solipsistica che non tenesse più conto dei suoi numerosi fan). Nondimeno, sono evidenti la cura e l’impegno nella direzione degli attori e nella sorprendente ricchezza dei dettagli e sottigliezze. È dunque confermato che l’altro lato dell’animo dei clown è profondamente tragico ma il finale, con morale, apre alla speranza.