TRAMA
Ha un marito, una figlia e l’amnesia: durante le sedute, lo psichiatra scopre che soffre di personalità multiple.
RECENSIONI
Il commentatore Alistair Cooke, in apertura, avverte che non si tratta del consueto film romanzato ricamato su di un fatto vero: è un caso clinico documentato, basato sul libro di due medici psichiatri, adattato per il cinema nel rispetto del realismo. Nunnally Johnson, anche produttore e sceneggiatore, s'impegna nel dare al tutto un taglio documentaristico, ma rischia di cavarne fuori un prodotto esangue, che elenca gli accadimenti senza essere in grado di sondarli in profondità. Contraddice, poi, i presupposti iniziali quando cede ad enfasi e semplificazioni che di realistico hanno ben poco, ricordando da vicino i classici stilemi hollywoodiani (finale compreso). Si passa, quindi, dall’asepsi cronachistica all’affabulazione senza centro drammaturgico capace di pathos. Ci pensa l'egregia prova di Joanne Woodward (premiata con l'Oscar) a dare nerbo ad un film che aveva bisogno di una regia potente ed immaginifica, capace di inquietare come di sorprendere, di sguazzare nel torbido come nell'eccezionalità della mente. L'attrice è impegnata, simultaneamente, in tre ruoli: la moglie remissiva, la mangiauomini esibizionista, la donna posata e matura. È certo un film anomalo per l'epoca, il suo successo diede il "La" ad una serie di produzioni sugli schizofrenici, e almeno due scene del regista sono molto efficaci: quella, emblematica, in cui il marito s'invaghisce dell'altra Eva, aprendo un mondo sui desideri maschili e la repressione (il film va di sottintesi ma con coraggio, per l’epoca) e la seduta finale dallo psichiatra.
