TRAMA
Quando il notaio Lebel legge a Jeanne e Simon Maewan il testamento della madre Nawal, i gemelli restano scioccati nel vedersi porgere due buste, una destinata ad un padre che credevano morto e l’altra ad un fratello di cui ignoravano l’esistenza.
RECENSIONI
Canada, oggi. Indagine su un passato al di sopra di ogni sospetto, Incendies di Denis Villeneuve (di cui abbiamo recensito, tra Gli invisibili, Polythecnique), tratto da una pièce di Wajidi Mouawad (rappresentata anche in Italia) è un dramma familiare su cui pesa - inaspettata, insostenibile - la Storia (la guerra in Libano, 1975-1990), un percorso a ritroso verso una verità immersa nella corruzione lancinante dei conflitti, l'iniziazione di due giovani all'orrore. Come l'incontro tra Egoyan e umori esponenziali da tragedia greca: Villeneuve accompagna i personaggi alla ricerca, il passato prende forma sotto gli occhi dello spettatore, sino alla devastante agnizione finale. Incendies è una narrazione a scatole cinesi, il presente intento a insinuarsi nel passato, il passato che introduce nuove angolazioni di sguardo sul presente: impaginato con cura, rigore e concessioni romanzesche, frutto di un formalismo classicheggiante e di un lirismo tragico disinteressato alla verosimiglianza, Incendies è opera di rara potenza, compatto nella costruzione, inattacabile per resa cinematografica, di struttura sfrontatamente (teatralmente) manipolatoria, essendo tragitto che primitivamente (ma in confezione sontuosa) mira senza concessioni alla catarsi, una delle più intimamente violente degli ultimi tempi. Un melodramma immerso nell'eccesso. E l'eccesso a sua volta scarnificato. Un'opera emotivamente sfiancante, travolgente. Acquistato dalla BIM, verrà distribuito con il titolo La donna che canta. Dividerà.

Traiettorie narrative rigorosamente controllate, messa in scena limpidamente padroneggiata, temperatura emotiva maestosamente abbattuta: questo è Incendies, quarto lungometraggio del cineasta canadese Denis Villeneuve (classe 1967), già autore di Polytechnique, affresco cubista del massacro dell'École Polytechnique di Montreal (6 dicembre 1989). Muovendo dall'omonima pièce di Wajdi Mouawad (parte di una serie di rappresentazioni teatrali sul tema della trasmissione e dell'eredità), Villeneuve adotta unestetica all'insegna della sobrietà e del crudo realismo per dare credibilità alle immagini, lavorando sulla luce naturale e sulle ombre per conservare l'aspetto mitologico del testo drammaturgico.L'incommentabile titolo italiano La donna che canta (didascalia di uno dei numerosi capitoli che scandiscono il film) farebbe pensare a una pellicola melensa, ammiccante e buonista, invece il regista canadese sgrana la materia sentimentale in frammenti di adamantina durezza e ne accumula la carica emotiva a bassa intensità preparando una catarsi matematicamente edipica. Ciononostante ogni singola sequenza è gravida di tensione interna: frizioni comportamentali (l'atteggiamento antitetico dei due gemelli Jeanne e Simon), contrarietà nel rintracciare i destinatari della lettera testamentaria della madre Nawal (l'animosità generale incontrata da Jeanne) e guerriglia diffusa (la ricerca del figlio da parte di Nawal) generano un clima di costante attrito e minaccia incombente. Soffocata e ovattata, la tragedia cova sotto le ceneri.
Pur dettagliatamente segnalati (Daressa, Kfar Rayat), i luoghi esposti da Incendies non raffigurano un'ambientazione definita ma creano una topografia immaginaria, deterritorializzata, privata di ogni connotazione nazionale precisa (Villeneuve ha dichiarato di essersi ispirato a Z di Costa-Gavras per liberare il film dall'ideologia: 'il film tratta di politica ma rimane altresì apolitico' ha affermato il cineasta canadese). L'indeterminatezza spaziale alimenta il portato universale della ricerca di Jeanne e Simon (rispettivamente Mélissa Désormeaux-Poulin e Maxim Gaudette in due prove di rimarchevole sottrazione) che nella loro trasferta mediorientale, spalleggiati dalla bonaria figura del notaio Lebel (Remy Girard, volto noto del cinema canadese), si tramutano in (in)volontari veicoli della memoria, archeologi di un passato disseminato di tracce in cui odio e amore si sovrappongono spaventosamente.
Sabotare il meccanismo di trasmissione della collera è il chiaro intento del film, proposito direttamente derivato dalla pièce di Mouawad, ma l'indirizzo umanitario di Incendies non precipita affatto nel didascalico o nel pietistico, consegnando il mandato di speranza a un racconto aspro e spigoloso, emotivamente prosciugato e lapidariamente implacabile (la madre, interpretata dall'attrice belga di origine marocchina Lubna Azabal, è giacimento di drammi). Al minimalismo della rappresentazione teatrale Villeneuve infonde un'incisività d'immagine che non rifugge da squarci cruenti (la nascita di Nihad, lo sterminio della corriera di musulmani) o toccanti rarefazioni (la sequenza d'apertura sulle note di You and Whose Army? dei Radiohead e le immersioni in piscina su tutte), assegnando alla fluidità della steadycam l'incarico di assicurare la prossimità ai personaggi e delegando ai campi lunghi, alle ellissi e al fuori campo il compito di smorzare le impennate di violenza (il tiro al bersaglio del giovane Nihad, lo stupro subito da Nawal, il parto gemellare). Girato in una quarantina di giorni tra il Canada e la Giordania con un budget tutt'altro che faraonico, Incendies conferma il quarantaquattrenne Denis Villeneuve come uno dei pochi cineasti in circolazione capaci di manipolare la materia tragica senza carbonizzarsi le mani.
