TRAMA
La vita di un gruppo di uomini in spedizione al Polo Nord viene seriamente minacciata da una strana creatura aliena precipitata sulla Terra assieme al suo disco volante.
RECENSIONI
Attenzione: dietro a quello che sembrerebbe uno pseudonimo (Nyby) si nasconde il montatore sopraffino di molti film di Hawks (tra i quali capolavori quali "Acque del sud", "Il grande sonno" e "Rio bravo"). Solo per questo, già un film imperdibile. Di questo film del 1951, il grande regista americano è solo produttore e supervisore ma il suo stile e la sua tecnica di ripresa hanno sicuramente influenzato il suo collaboratore, qui alla sua prima (ed unica) esperienza dietro la macchina da presa. Anche alcuni temi (l'amicizia virile, la conflittualità tra tipologie umane antitetiche) e situazioni (uomini asserragliati in uno spazio chiuso messi sotto assedio da un nemico invisibile) sono squisitamente hawksiani. Girato prevalentemente in interni (Hawks docet...), questo di Nyby è uno dei primi film di fantascienza "umanista" della storia del cinema. Anche se gli elementi del filone orrorifico (alla Val Lewton) vengono più o meno tutti rispettati, il film rinnova il genere e sarà fonte di ispirazione, miniera dalla quale attingere, per molte "science fictions" degli anni a venire. Colpisce in primo luogo la capacità di creare tensione col solo lavoro di regia (che alterna primi piani a totali all'interno di un contesto scenografico sempre più claustrofobico e minaccioso). Questa matematica scansione dei piani, unita all'austerità della messa in scena, produce una vertiginosa climax di tensione, che solo lo scioglimento finale interrompe (anche se un certo disagio rimane anche dopo la scritta "The end"...). A questa "suspence" fenomenologica, se ne aggiunge un'altra di carattere etico. L'opera, oltre ad essere una prodigiosa lezione di tecnica cinemtatografica, è anche un sapiente melange di questioni etiche e scientifiche trattate tutt'altro che superficialmente. Tutto è centrato sul conflitto tra la necessità di salvaguardare la razza umana a tutti i costi (senza pensare alla possibile valenza scientifica della scoperta di una vita aliena) e il favorirne il progresso futuro a scapito della vita di un gruppo di uomini. La figura dello scienziato, ostinato fino alla "disumanità", è di una modernità esemplare; la sua abnegazione, la sua volontà nel perseguire un risultato "positivo" anche nelle situazioni più pericolose, gettano un velo di dubbio sulla reale efficacia e umanità delle "magnifiche sorti e progressive"... Dunque, un film seminale.

Da cult a classico, quest’opera è uno dei capostipiti del genere fantahorror, la prima in assoluto ad ospitare un mostro venuto dallo spazio. Letta come allegoria della Guerra Fredda e della fobia americana nei confronti del comunismo, contiene un messaggio politico quanto mai militarista e schierato: lo scontro fra ragioni della Scienza, della Stampa e di Sicurezza militare vede prevalere nettamente quest’ultima. Ma i meriti albergano altrove, nella tensione claustrofobica in un’isolata base fra i ghiacci, nel gioco del gatto-Alien col topo-Uomo (modello per molto cinema a seguire), perfino nella forte vena ironica fra affettuose schermaglie amorose e simpatiche battute di personaggi (anche) buontemponi (viene citato apertamente L’Avventuriero di Macao con Robert Mitchum). Riguardo a quest’ultimo aspetto, è preponderante l’influenza del produttore Howard Hawks (che ha anche girato qualche sequenza) sul lavoro del suo montatore Christian Nyby: lo dimostrano anche certe sequenze audaci (la scena “perversa”, tagliata in alcune versioni, in cui l’attrice lega ad una sedia il militare e, compiaciuta del potere ottenuto, gli si dichiara), la perizia tecnica (che si riflette nei copiosi dettagli scientifici della sceneggiatura di Charles Lederer, altro hawksiano D.o.c.), il modo in cui viene ridicolizzato il genere umano (che distrugge l’astronave per errore, spara all’alieno e poi gli aizza contro i cani: è il minimo che il “mostro” sia furioso) per poi esaltarne le virtù fra coraggio e moti di cuore (nei confronti della “cosa”, che ha un trucco da Frankenstein vegetale). Al povero regista esordiente, insomma, nessuno ha voluto dare molto credito per i meriti della pellicola, in virtù anche di deludenti prove successive. Memorabile l’inquietante commento sonoro di Dimitri Tiomkin, altro modello molto imitato in futuro. Il doppiaggio nostrano pare in difficoltà fra dialoghi a raffica e overlapping.
