LA CENA PER FARLI CONOSCERE

TRAMA

Sandro Lanza fa l’attore ma vive un momento grigio. Dopo dieci anni nella soap “Charme” decide di sottoporsi a un lifting facciale che però produce esiti disastrosi. L’unica soluzione, pre-annunciata ai media, pare il suicidio. Ricoverato in ospedale viene raggiunto dalle tre figlie, avute con tre donne diverse, che vivono in differenti città europee e non si vedono da molto tempo. Una volta riunite, le tre ragazze decidono di aiutare il padre e pensano che trovargli una compagna sia una possibile soluzione. Organizzano così una cena con la fan di gioventù Alma Kero._x000D_

RECENSIONI

C'è un'aria da fiction televisiva nel trentacinquesimo film di Pupi Avati, che vede le tre figlie sparse per il mondo (l'inizio con l'alternarsi delle capitali europee sembra quello di una spy-story) di un attore in declino riunite al capezzale del padre, fallito anche come suicida. Il problema della "commedia sentimentale", come recita il sottotitolo, è che mette tanta carne al fuoco ma non sviluppa adeguatamente nessuno spunto. C'è la sorella in carriera a Parigi affetta da un male incurabile (che riceve gli esiti degli esami a sera inoltrata proprio durante la cena del titolo, sic!), c'è quella pediatra in Spagna, anche lei con una valigia di sofferenze al seguito, e c'è la più piccola, sposata infelicemente con un miliardario psicotico a Roma (interessante la trovata del feticismo dei capelli, ma buttata lì senza un seguito). Alla mestizia della triade femminile si aggiunge quella del protagonista, un po' cialtrone e un po' piacione, con tanti sogni di celluloide improntati alla nostalgia del bel tempo che fu (numerosi i dialoghi autoreferenziali che citano Sergio Corbucci, Pietro Germi e Dino Risi e immancabile, quanto grossolana, la critica alla tv spazzatura). Poi c'è lei, quella che le figlie sperano possa diventare la nuova fiamma del padre, che combatte l'infelicità con una logorrea sfinente. Il film è tutto qui e potrebbe anche essere abbastanza se le tracce di vita seguite dal regista bolognese si accontentassero di suggerire piccole verità senza invece ambire a una paradossale sensazionalità sottotono. Altro empasse, non da poco, la mancanza di un'atmosfera credibile. C'è sempre qualcosa, per lo più nella gestione dei tempi, che finisce per ridurre l'efficacia della messa in scena, per cui le battute cadono nel vuoto e non fanno ridere, le tante scene madri lasciano indifferenti e la poesia (l'arrivo della neve) è troppo sottolineata per aprirsi un varco. Per non parlare della sciatteria, non inusuale nelle regie di Avati, che si percepisce nella confezione: alcuni fuori fuoco sospetti, la voce fuori campo della Incontrada che pare stia leggendo una ricetta, la colonna sonora da prime time televisivo di Riz Ortolani e il doppiaggio in molti casi stridente (da trash anni '70 la cadenza piemontese della lolita rampante). Tra le interpreti si distingue Francesca Neri, sicuramente migliore del suo inconsistente personaggio (che dovrebbe essere risolutivo e invece non si vede l'ora che esca di scena), mentre le tre sorelle funzionano a livello di presenza scenica ma quando provano a recitare sono spesso guai. Poco sferzante anche la misura, sulla carta invece apprezzabile, adottata da Abatantuono, reso guercio e senza pizzetto da una sceneggiatura incapace di dare spessore a un inerte bignamino di sfighe.