LA CASA DEI MASSACRI

Anno Produzione2003

TRAMA

Nell e Steven Burrows, trasferitisi a Los Angeles per iniziare una nuova vita, prendono alloggio al Lusman Building, uno storico complesso d’appartamenti a Hollywood. Poco dopo il loro arrivo, i condomini iniziano a morire in modi orribili uccisi con trapani, seghe e martelli a opera di una misteriosa presenza che si cela tra i muri. La pellicola si ispira Lo squartatore di Los Angeles (The Toolbox Murders, Dennis Donnelly, 1978).

RECENSIONI

Casa dolce casa?

Che sia sperduta nel profondo sud degli Stati Uniti o tra le palme e la folla di aspiranti attori di Los Angeles, la casa continua ad essere per Tobe Hooper un ricettacolo di malvagità, un simbolo del male nella sua essenza più pura, un rifugio peloso per tutte le nefandezze del mondo. Rispetto al cult "Non aprite quella porta", a cui più volte il nuovo "The toolbox murders" rimanda, c’è però più voglia di spaventare e di giocare con i meccanismi della paura che di colpire al cuore le sicurezze dell’America. Sta di fatto che il lungometraggio di Hooper si segue tutto d’un fiato, fa sobbalzare più di una volta sulla poltrona, non lesina sui dettagli gore, ha una certa cattiveria di fondo, ma si configura soprattutto come gustoso intrattenimento per gli appassionati del genere. I risvolti sociali della vicenda passano quindi presto in secondo piano e chi si aspettava, visto il soggetto, una critica arguta nei confronti dello star system o della società dell’apparenza, resterà probabilmente deluso. Di grande suggestione l’idea che pochi metri di distanza separino la quiete dall'orrore mentre l'indifferenza regna sovrana, ma la sceneggiatura non si preoccupa troppo di sostanziare in modo plausibile le coordinate del massacro. Costruisce una coppia di protagonisti interessante (lui medico e lei insegnante alle prese con il trasloco nella grande metropoli e l’inconciliabilità del lavoro con la vita di coppia), ma personaggi di contorno abbastanza stereotipati (il factotum dall’aspetto sinistro, la vicina schizzata, il suo compagno tatuato e minaccioso, il ragazzino onanista) e non riesce a dare un senso al frenetico susseguirsi di omicidi nel giro di pochi giorni. Come al solito uno degli aspetti più riusciti della visione di Hooper è la creazione della suspense, la predisposizione di pochi sapienti dettagli in grado di creare uno stato di allarme, il lasciar supporre eventi che saranno poi disattesi, insomma, il regista americano si conferma un abile maneggiatore di quella cosa informe e viscerale chiamata paura. Da questo punto di vista il film funziona alla grande, grazie anche all'efficace utilizzo degli stacchi sonori (non a caso la proiezione è stata anticipata da un video in cui lo stesso Hooper consiglia di vedere il film con il volume al massimo) e alla capacità di predisporre situazioni in fondo elementari (ragazza sola rientra a casa di sera – strani rumori provengono dalla parete dell’appartamento attiguo), viste e straviste, ma con grande senso del ritmo e dello spettacolo. Rispetto allo sguardo addomesticato da Hollywood ("Poltergeist", "Space Vampires"), dopo la folgorante cattiveria degli esordi, e al torpore degli ultimi anni, si può dire che Hooper sia tornato a un’apprezzabile schiettezza. Quello di cui si sente la mancanza è uno sguardo un po’ meno convenzionale sul contesto dei sanguinosi eventi. L'ambientazione a Los Angeles, invece, resta un possibile spunto che viene solo sfiorato (bella la visione panoramica della città dal vetro imbrattato di sangue) per lasciare spazio alla solita storia di maledizioni, geroglifici e cattivoni mascherati. Perdipiù con un finale molto scontato e la porticina maldestramente aperta (non si sa mai) su un possibile sequel!