TRAMA
I giovani, la casa nel bosco, le possessioni demoniache.
RECENSIONI
Il remake di Evil Dead (da noi, com'è noto, La Casa) è un'operazione furba e sincera a un tempo. E' furba perché pesca nel mito sedimentato dell'horror anni '80 per antonomasia. E' sincera perché l'originale è omaggiato senza troppi fronzoli, cercando di non tra(sgre)dir(n)e lo spirito free votato all'understatement. Il solo accenno di ammodernamento in chiave reboot si ha nel prologo, quando si accarezza la modernità (si fa per dire) del torture porn. Ma è una falsa pista. Perché quell'incipit serve solo a eternare diegeticamente il mito, configurando le malefiche vicende legate al Necronomicon/Naturom Demonto come un eterno ritorno allo stesso, storia destinata a ripetersi come ogni archetipo horrorifico che si rispetti (concetto ribadito anche nel finale ma già contenuto nello strano rapporto sequel-are che intercorre tra i primi due capitoli originali). E da lì in poi, il film si limita a ripercorrere tutti i Loci caratterizzanti del debutto di Raimi (e del suo sequel/remake), siano essi narrativi (i ragazzi, lo chalet, il libro), tecnico/stilistici (le inquadrature inusuali, le corse nel bosco con la shaky cam), iconici (lo stupro alberesco, l'autoamputazione della mano, la botola, la sega elettrica) ed effettistici [il feeling degli effett(acc)i splatter è piuttosto analogico quando non artigianale (la mano 'strappata', rimasta incastrata sotto l'auto)].
Ma l’aspetto forse più isomorfico, rispetto all’Evil Dead dell’82, è l’ironia strisciante e quasi subliminale. Il film di Raimi era sostanzialmente un horror serio ma già a suo modo destrutturato, uno Scream ante litteram nel quale gli archetipi horror agganciavano il secondo grado autoironico in virtù della propria purezza. Questo Evil Dead riproduce, per inerzia mimetica, quel tipo di approccio, grazie anche alla riproposizione studiata di alcune sequenze pescate dal secondo episodio della serie, quando cioè l’ironia era uscita allo scoperto e si era palesata per quella che era: l’assemblaggio del defibrillatore artigianale, per taglio delle inquadrature e ritmo di montaggio, ripropone il montaggio della sega elettrica sul moncherino di Ash. Un remake, a conti fatti, sensato, non privo di idee e di fondamento, blandamente godibile a tutti i livelli, giustamente poco ambizioso, refrattario al digitale, consapevolmente prevedibile e stupidotto. Bisogna, però, sapersi accontentare e volare bassi. Inevitabile cameo di Bruce Campbell dopo i titoli di coda.
