Fantasy, Recensione

LA BUSSOLA D’ORO

Titolo OriginaleThe Golden Compass
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Genere
Durata114'
Sceneggiatura
Tratto dadall’omonimo libro di Philip Pullman
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

Lyra è una ragazzina orfana che si fida del suo tutore Lord Asriel ma finisce per essere concupita dalla melliflua Mrs. Coulter. Quando alcuni dei suoi amici vengono rapiti dagli Ingoiatori Lyra cercherà, insieme ai Gyziani, di recarsi nella terra degli orsi polari per salvare chi realmente conta per lei.

RECENSIONI

L'industria del cinema segue le tendenze economiche in atto. Siccome è il periodo della fidelizzazione del cliente (ormai anche il fruttivendolo rilascia una tessera a punti con premio finale per indurre il cliente a ritornare), il cinema si adegua. Sette libri e altrettanti film per il brand Harry Potter, tre lungometraggi miliardari per l'imponente trilogia di Tolkien Il Signore degli Anelli, un esordio economicamente promettente per il primo dei sette volumi de Le cronache di Narnia. Il comune denominatore è il genere fantasy, che evidentemente ben si presta alle saghe, la serialità e un corollario di milioni di dollari. La differenza rispetto al passato è che un tempo da un film di successo potevano discendere a posteriori innumerevoli propaggini, mentre ora il numero di puntate è deciso in anticipo. La logica è quindi quella di agganciare lo spettatore fin da subito per introdurlo in un viaggio cinematografico di anni, facendolo crescere insieme ai personaggi che ha imparato a conoscere e ad amare. Il rischio, per chi produce, è ovviamente molto alto, dati gli elevati investimenti necessari per colonizzare il pianeta per un lungo periodo. Un buon inizio solitamente garantisce la prosecuzione. Una cattiva partenza può invece determinare l'abbandono del progetto. La New Line - fautrice del successo de Il Signore degli anelli e in trattative, pare concluse, per la saga de "Lo Hobbit" sempre da Tolkien e con Peter Jackson in veste di produttore esecutivo - punta questa volta su un'altra trilogia: "Queste oscure materie" (titolo bellissimo), scritta dall'inglese Philip Pullman e pubblicata negli anni '90. La Bussola d'oro è il primo capitolo e, vista l'accoglienza tiepida del film negli Stati Uniti, potrebbe essere anche l'ultimo ad essere trasposto. Al di là di tutto ciò che c'è dietro al film, marketing possente incluso, il primo terzo risulta cinematograficamente poco convincente. La storia, ambientata in una contemporaneità postmoderna, è ricca di implicazioni filosofiche di grande fascino che accendono la curiosità sul testo letterario. Per tenere i fili dell'intricata vicenda, però, la sceneggiatura perde per strada uno sguardo d'insieme e costruisce ogni sequenza come anticamera della successiva. In pratica non esistono momenti in cui le complesse informazioni assimilate, spesso concentrate in frettolose battute di dialogo, possano essere elaborate, approfondite e comprese appieno. L'andamento finisce per essere quindi quello di un treno in corsa, in cui tutto appare per poi scomparire senza lasciare traccia. Non c'è tempo per entrare nei personaggi, capirne le motivazioni, sondarne i desideri. La logica è quella della contingenza e dell'accumulo. La concatenazione di ostacoli e problemi, però, non è in grado di sostenere, da sola, le ambizioni del progetto, che pone al centro del racconto la solita bambinella predestinata a salvare l'umanità. Intorno a lei ruotano un'anima visibile in forma animale e in continua evoluzione (i Daimon, sicuramente la trovata più originale), un amico gyziano, una donna bellissima e infida, uno zio esploratore, una bussola che dice sempre la verità, una dittatura che nega la conoscenza per proteggere i suoi privilegi, i sinistri Ingoiatori che rapiscono i bambini, un volo in dirigibile sopra Londra, la fuga su un vascello pirata, una strega per amica, l'arrivo tra i ghiacci, un nuovo alleato nell'orso Iorek Byrnison, il potere della magica Polvere, innumerevoli fughe, esperimenti, combattimenti e battaglie. Ciò che manca è un collante cinematografico in grado di rendere fluidi e sensati i passaggi da un'avventura all'altra. Senza una regia visionaria, ma anche organica (Chris Weitz ci mette solo un'indubbia professionalità), capace di tenere sotto controllo e rendere armonici gli eventi, il film si riduce infatti a una ritmata, quanto alla lunga soporifera, successione di sequenze prive di mordente. Senza un prima capace di catturare e con un dopo che potrebbe essere qualunque cosa, a poco valgono le suggestive scenografie, i curatissimi costumi, i mirabolanti effetti speciali (con una computer grafica sempre presente ma meno invadente del solito), l'algida bellezza di Nicole Kidman, il carisma di Daniel Craig, l'espressività della piccola Dakota Blue Richards, l'elogio al libero arbitrio e alla libertà di espressione. Nessun amo è abbastanza forte, men che meno il finale aperto, da fissarsi in modo saldo nell'immaginario per garantire la sopravvivenza, perlomeno cinematografica, della saga. Puro marketing, ad effetto boomerang però, le presunte polemiche della chiesa anglicana contro il film. Quella che probabilmente nel romanzo è una critica diretta all'organizzazione ecclesiastica e ai pericoli del fanatismo religioso, in pellicola si edulcora in una classicissima lotta tra Buoni tutti d'un pezzo e Cattivi come tanti, senza frecciate degne di nota. Si può ancora spacciare per grande novità la lotta contro un regime totalitario privo di scrupoli?

La bussola d’oro è la trasposizione cinematografica del primo capitolo della saga fantasy Queste oscure materie, trilogia di Philip Pullman.
Va subito detto che il romanzo di Pullman è davvero pregevole e costituisce un esempio di come il fantasy contemporaneo sia un genere attuale e pieno di potenzialità. Niente a che vedere con i percorsi già esplorati e lo stile modesto di Eragon.
Questo rendeva l’appuntamento fantasy natalizio di quest’anno particolarmente atteso. Anche perché La bussola d’oro ha mobilitato grandi nomi ed ha il pregio di offrire una materia fantasy originale che si differenzia nettamente dalle atmosfere tolkeniane e dai proseliti tutti spada e draghi.
Come una doccia fredda quanto basta l’inizio della pellicola rivela però subito che lo scrittore del libro è infinitamente più bravo degli sceneggiatori del film e del regista. La bussola d’oro è decisamente fiacco di pathos, di ritmo, di suspense. Le belle invenzioni di Pullman aiutano – su tutte quella del daimon personale, che muta a seconda delle circostanze nei bambini e si stabilizza negli adulti – ma l’impianto filmico finisce in gran parte per sprecarle o ridurne l’efficacia. La scelta di ricorrere ad una voce narrante che fornisce spiegazioni, necessarie soprattutto ai bambini e a chi non ha letto il libro, ha l’effetto di privare la storia di interesse e di appiattirla.
Deleterio il modo in cui viene trascurato il nucleo centrale del rapporto degli esseri umani col daimon-anima, nonché l’orrore dell’intercisione, solo accennata, che risultava invece emotivamente di grande impatto nel romanzo. Anche i rapimenti dei bambini e la minaccia degli Ingoiatori andavano mostrati meglio in modo più inquietante, anziché riassumere il tutto a voce.
Tagli maldestri, dunque, che vanno in direzione opposta al buon senso ed alla capacità di coinvolgimento dello spettatore.
Solo la rivelazione relativa ai genitori della bambina sa creare un colpo di scena più efficace di quello del libro.
Curioso il finale, estremamente insipido e immobile, che taglia un pezzo importante del primo capitolo e lo rimanda al secondo episodio – se ci sarà, visto che il pubblico americano non ha mostrato grande apprezzamento. Chissà mai perché, visto che era stato già girato e forniva al pubblico ragioni più valide di aspettare il seguito di quanto non faccia il monologo odioso degli ultimi minuti.
Ai problemi di sceneggiatura si aggiunge il clamoroso errore commesso sul personaggio della protagonista, per cui è stata scelta una bambina particolarmente antipatica che non ispira né simpatia né la minima identificazione (e la recitazione dell’attrice non giustifica affatto un casting tanto miope).
Almeno il resto del cast è ottimo. Non solo la sapientemente cattiva Nicole Kidman ed un Daniel Craig avventuroso e freddo, ma anche i folkoristici giziani, il cowboy volante, la strega Eva Green.
I “problemi diplomatici” sono stati invece risolti eliminando qualunque riferimento alla Chiesa presente nell’opera letteraria e accennando al fantomatico Magisterium senza chiarirne in alcun modo la natura. Nonostante questi sforzi non sono mancati gli attacchi al film da parte di esponenti del mondo religioso, poiché la sua visione potrebbe spingere molti bambini a leggere il “pericoloso” romanzo. Polemiche interessanti quanto quelle sul simbolismo cattolico delle Cronache di Narnia (ovvero, per niente).
Resta un film visivamente splendido, anche se interamente frutto del computer (e si vede, ma almeno nessun effetto speciale è gratuito). Scenografia e costumi che creano la giusta atmosfera, dalla Londra retrò con bellissime dimore allo scenario polare, arricchiti dai particolari che costellano il film: il dirigibile, il pallone aerostatico, le carrozze col cocchiere dietro. E resterà ovviamente impressa l’immagine dell’orso guerriero, cui si è voluto dare un ruolo forse troppo predominante.
Il film meriterebbe forse la sufficienza per la bella storia e le belle invenzioni – merito di Philip Pullman – ma sembra più giusto negargliela per come ha indebolito le potenzialità del romanzo.

In un’epoca in cui le saghe fantasy (Il Signore degli Anelli e Harry Potter su tutti) premiano al botteghino, i tentativi di colonizzare l’immaginario cinematografico con dei “primi capitoli” hanno visto vincitori e vinti: è andata (ingiustamente) bene a Le Cronache di Narnia, (giustamente) male a Eragon. Questa prima tappa tratta dalla trilogia “Le materie oscure” dell’inglese Philip Pullman è l’unico caso di buon prodotto (se si eccettua il passabile Lemony Snicket), ricco per mezzi e promozione che inspiegabilmente (nonostante le ingerenze della produzione) non ha fatto breccia nei cuori degli spettatori: un’opera convincente non solo per l’originalità della fonte (che, comunque, pesca dalla Rowling, C.S. Lewis e Miyazaki), ma anche per l’inattesa professionalità del suo regista (fin qui era solo l’autore di American Pie), impegnato anche in sede di sceneggiatura. Chris Weitz, invero, non è responsabile del riordino delle scene del primo romanzo (che, a detta di Pullman stesso, è stato girato per intero), dell’epurazione del testo dei suoi segni anticlericali e delle componenti più cupe (la chiusura è inutilmente aperta a un seguito), ma è comunque abile nel restituire un prodotto spettacolare, non cancellando tutti i segni di uno scrittore che non è da supermercato, bensì un professore di Oxford dotato di prosa ricca e sfaccettata, con propensione ad elaborare i personaggi e, soprattutto, a comporre un’opera che, nel suo capitolo finale, non solo addita la Chiesa come causa di tutti i mali, ma arriva anche a negare l’esistenza di Dio (in una saga per ragazzi!). In attesa di un director’s cut che riporti i 40’ lasciati in sala di montaggio dalla New Line Cinema.