TRAMA
Terrorizzata dalla vecchiaia e dalla solitudine, la professoressa Lucrezia Sembiante decide di castigare le sue pulsioni ninfomani e di sposare un ragazzo molto più giovane di lei. Tuttavia, l’ultimo incontro con lo storico “amico di letto” Marco Macaluso, un felice e spregiudicato imprenditore, la costringerà ad affrontare con maggior violenza la natura delle sue paure, delle sue scelte e del suo futuro.
RECENSIONI
Il pregio maggiore de La buona uscita sta nell'inventare una dimensione narrativa originale, che si sviluppa attraverso una sequela di quadri straniati, animati da personaggi in lenta, ineluttabile putrefazione (il cinico protagonista - un ricco borghese, edonista - si mostra distaccato da un mondo al quale si avvicina solo per suggerne la linfa, senza mai empatizzare con esso); in una dialogistica incisiva e malata, che va oltre la parodia, puntando dritta all'iperrealtà; in un contesto scenico curatissimo (le location autentiche, eppure improbabili), tutti aspetti che si compenetrano in un film che, riplasmando la realtà, inscrivendola in geometrie calcolate e già funeree, richiama l'ovvio rappresentare il Contemporaneo, ma solo per schivarlo con puntualità svizzera.
È una visione sconsolata quella di Enrico Iannaccone (David di Donatello per il suo corto L'esecuzione), quella di un'umanità sfatta e rassegnata che s'ingozza e brinda sulle macerie, di un tempo inquietante in cui la Crisi, vista dal punto di vista del ceto più agiato, è una tragedia che riguarda solo gli altri, non questi apatici personaggi, impermeabili a qualsiasi morale, che dominano le circostanze (l'unico carattere positivo è una ninfomane), animati da un ottimismo ottuso e nichilista.
Epurando ogni luogo comune del cinema italiano - fosse anche sano -, forzatamente lontano da qualsiasi retorica convenzionale (in questo quasi violentandosi), La buona uscita, contraddicendo di continuo la possibilità di analisi sociologica che, ingannevolmente, sembra proporre - così asettico, stilizzato, contemplativo come appare -, è un debutto nel lungometraggio che che ha il merito della radicalità, che racconta del degrado di una nazione e di un popolo che non conoscono più innocenza, in cui tutti sono collusi («La dignità è mediocre») e ognuno, contaminato dal male, contamina il suo piccolo ambito a sua volta.
Un film agghiacciante in cui scorre un'ironia corrosiva che non riscatta nulla: tutto e tutti fanno semplicemente schifo. Non c'è barlume di speranza, prospettiva di salvezza, nessuna possibile redenzione.