TRAMA
In un castello, da qualche parte, lontano nel tempo. La strega Carabosse taglia il cordone ombelicale di un neonato, Anastasia. Tre giovani fate accorrono troppo tardi: la strega Carrabosse annuncia che la piccola, una volta compiuti i sedici anni, si pungerà e cadrà, morta. Le fate credono che il loro ritardo non meriti questo. Tramutano per questo la morte in cento lunghi anni di sonno. Ma, poiché un secolo di sonno è decisamente noioso, donano ad Anastasia la possibilità di essere desta nei propri sogni e acquisire esperienze. (dal pressbook del film)
RECENSIONI
Da tempo, ormai, il cinema di Catherine Breillat ha trasformato la sua forma d'essere: la provocazione estetica ha lasciato il passo all'eleganza di racconti piani, frontali, di rigorosa fattura. Il suo cinema si è ridotto a parabola stilizzata, a racconto popolare elementare, come a ridefinire il senso e l'ambizione di ogni narrazione: confluito e distillato tutto il senso del proprio fare cinema nel capo d'opera Pornocrazia, chiusura quasi parodica e letteraria di un percorso, che seguiva l'a sua volta autoriflessivo Sex is comedy!, la filmografia della Breillat si è sorprendentemente asciugata di ogni orpello: se Une vieille maîtresse era incentrato su una narrazione orale, messa in scena con sobrietà rohmeriana, Barbe bleue era la trasposizione di una fiaba di Perrault, un racconto morale (mirante non a un sapere concluso, ma alla problematizzazione di quanto narrato) perfettamente incastonato nelle ossessioni tematiche di una poetica cristallizzata, ridotto ai termini di un vocabolario conosciuto, e sempre attuale. La belle endormie pare seguire il solco: la Breillat annuncia (nuovamente) Perrault, ma inscena La regina delle nevi di Andersen, piega la fiaba ai propri temi, la trasforma nell'ennesimo racconto di educazione sentimentale: il risveglio di Anastasia è il passaggio scioccante ad un nuovo mondo, non più quello popolato da freaks mai visti come tali, ma quello patriarcale, maschilista, dominante, giudicante. Storia di un passaggio, come Une vraie jeune fille e 36 fillette, come A mia sorella! e Brève traversée. Storia, per dirlo con le parole dell'autrice, di una vita che inizia. Storia, infine, della (ri)affermazione della propria identità femminile. Come sempre. La belle endormie è perfettamente a suo agio nel corpus dell'ultimo Cinema Breillat, cinema olimpico, di una consapevolezza maestosa che si sfoga in un' autoironia sottile, continuamente implicita, sciolta in forme infantili, regressive, fieramente naïf. Rispetto agli ultimi lavori, difetta in compattezza, manca di compostezza, soffre di discontinuità, guadagnandone in libertà d'espressione. Un'opera imperfetta, ostica da accettare, facilmente detestabile. Ma, per grazia divina, ne stia alla larga chi desidera film accomodanti e accomodati, chi esige l'armonia, chi ride al sentire parlare di cinema femminista, chi crede che un cineasta non possa lavorare sull'abusato, il letterario, il demodé, il fastidioso, il ridicolo. E chi, così facendo, continua a teorizzare un cinema allergico a territori che altre arti indagano da secoli. Conservatori, interessati non a comprendere un'opera, ma a giudicarla secondo la propria misura, cinefili a parole, ma fautori di un'eterna arte minore.
