TRAMA
Nel giorno del ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi del maggio 2012, una giornalista scende in campo tra la folla in attesa del verdetto e affida le figlie a un babysitter arrabattato. Unica regola da rispettare: non dovrà aprire la porta al padre delle bambine, a nessuna condizione.
RECENSIONI
Come le persone che si lamentano della loro vita quotidiana: ma se non è la vita quotidiana, che cos'è la vita? Dove si trova? È qualcosa che viene dopo la vita di tutti i giorni? Qualcosa che la precede?
La Bataille de Solférino
Everything we are. The real chaos cha cha cha
Xiu Xiu
E dacci oggi il nostro quotidiano.
Abbandoniamoci alla contingenza, alla concretezza di salotti disordinati e strade che brulicano nell'attesa inquieta dell'esito del ballottaggio tra il socialista François Hollande e il presidente uscente Nicolas Sarkozy vissuta di fronte alla videocamera per cui la giornalista Laetitia (Lætitia Dosch) lavora.
Nel suo primo lungometraggio di fiction, presentato a Cannes (ACID) nel 2013, Triet non nasconde, ma sembra anzi voler nobilitare il fervore di gesti disarmonici e pensieri stridenti, rivendicando la vitalità propria delle ineluttabili incertezze del quotidiano.
Un cinema anti-statico, ma mai reso antiestetico nonostante il caos da cui è governato, che vive in e di ambienti lontani dal patinato: una città in crescente fermento e, in controcampo, gli interni caotici in cui convivono le urla di bambine lasciate ciondolare a piedi nudi per casa e madri allo specchio indecise sull'abito da indossare per andare al lavoro, prove in extremis di un abito – inadeguato - dopo l'altro, la biancheria intima dimenticata chissà dove.
Il compito, non semplice, di tenere a bada le figlie della reporter è affidato a un babysitter improvvisato (Marc-Antoine Vaugeois), apprendista pasticcere che contravvenendo al monito di Laetitia non riesce a sottrarsi all'insistenza del padre (Vincent Macaigne), deciso ad incontrare le bambine nonostante la consueta visita mensile fosse in realtà fissata per il giorno precedente.
L'appartamento piano piano accoglie, oltre a giocattoli abbandonati e ai personaggi che già la abitano, le tensioni di quanti cercano, rispettivamente, di invaderla e difenderla.
Ostilità che deflagrano in un grottesco dialogo a tre – il babysitter, l'ex marito, il vicino di casa chiamato in aiuto per cercare di ricondurre all'ordine una situazione ormai sfuggita al controllo del giovane Marc - di fronte ad una tenda su cui campeggia l'altera effigie del capo indiano del disneyano Peter Pan.
It must be exhausting always rooting for the anti-hero
Taylor Swift
I protagonisti di Solférino, che portano il nome degli attori e delle attrici che sono chiamati a dargli vita, sono adulti che sembrano essere cresciuti alla rinfusa, i panni di una tardo-adolescenza mai del tutto dismessa, incapaci di fare pacificamente i conti con le piccole grandi calamità che gli si scagliano contro.
Percorsi che sembrano destinati ad annaspare in caotici gorghi apparentemente accidentali ma quasi cercati, inseguiti, bramati da un inconscio votato all'autosabotaggio: dalla riluttante decisione di difendere l'amico accusato di tentato omicidio in Tutti gli uomini di Victoria (2016), passando per la presa in carico di una giovane attrice incinta da parte della psicanalista nell'omonimo Sybyl (2019), pur nella sua foga da combattente Laetitia si arrende a colui che era stato presentato come antagonista e spalanca la porta a notte fonda, quando le bimbe ormai dormono, mentre fino a poche ore prima intimava a Marc di non permettere alcun incontro tra i tre.
I problemi personali sono problemi politici. Non ci sono soluzioni personali in questo momento. C’è solo un’azione collettiva per una soluzione collettiva.
Carol Hanisch
Dall'avamposto di rue de Solférino – quartier generale del partito socialista – alla sede dell'Unione per un Movimento Popolare va intanto in scena lo scontro reale tra due opposte fazioni politiche, tra cori che inneggiano a Hollande e interventi pro-Sarkozy: la folla brulicante attende di conoscere il volto di colui che sarà eletto nuovo Presidente della Repubblica.
Memore del suo passato da documentarista (il cortometraggio Sur place del 2007 e il mediometraggio Des ombres dans la maison, prodotto nel 2009), Triet sceglie di non ricostruire ma di insinuarsi nel reale. In una giornata impetuosa, ad alto rischio di disordini ed effettivamente decisiva per il futuro politico della Francia, le sue otto camere filmano una marea, prevalentemente azzurra, che viene inquadrata dall'alto e in prossimità, tra assembramenti, palloncini lanciati in aria, figure che si muovono sui tetti parigini e volti affacciati alle finestre. In un cortocircuito tra reale e immaginario, Lætitia Dosch diventa per i manifestanti una giornalista a tutti gli effetti, impegnata a raccogliere le opinioni del popolo sulla corsa all'Eliseo.
E nel momento in cui in questa marea si fa largo Vincent, sceso in campo per rivendicare i propri diritti di padre, gli intervistati finiscono per diventare testimoni di una battaglia che mescola pubblico e privato, politico e personale, due dimensioni che si fondono e si confondono in continuazione.
Il motto il personale è politico vive qui una nuova accezione: i tempi e i luoghi della politica – e del lavoro – vengono interrotti e invasi dalle istanze del privato: il privato incarnato dalla relazione tra i protagonisti, nella finzione, e il privato in quanto momento di creazione artistica di Triet, sul campo.
Ma Triet, nel suo scombinare due dimensioni solo apparentemente antitetiche – intimo, collettivo – non cerca di plasmare nuovi modelli politici o incarnazioni di un'ideale. Nelle ore che seguono (e che ancora ne sono parte integrante) la battaglia, non si cerca e non si chiede un'identificazione tra la Laetitia giornalista engagée che segue le reazioni dell'onda azzurra e quella che fa ritorno al suo privato. Il congedo sbrigativo dal babysitter Marc, sottopagato e lasciato tornare verso casa in piena notte senza l'ombra di un taxi è, ancora una volta, manifestazione dell'umano e riflesso del quotidiano, al riparo da qualsiasi ipocrisia: è l'emergere di un'apparente contraddizione, dello scarto tra la potenziale attesa dello spettatore e la rappresentazione del reale. Un reale profano e incoerente, carico di quell'amore per l'umano che trasudano i film di Triet.
Per quanto calato – dal punto di vista narrativo e produttivo – nelle tensioni tra gli schieramenti del 6 maggio parigino, non ci troviamo di fronte a vincitori né vinti, bensì immersi nelle scomposte aspirazioni dell'essere umano.
Parole, parole, parole... On connaît la chanson
Alain Resnais
E se evidente è l'amore per la gestualità, per l'autenticità dei luoghi e per l'immagine, in un perfetto equilibrio tra fiction convulsa e osservazione degli umori del reale, il cinema di Justine Triet è, forse ancor prima, un cinema fondato sulla parola.
Triet è innegabilmente innamorata della parola. Una parola concitata, arrabbiata, sbrigliata; un impulsivo riflesso della vita interiore che diventa un fil-rouge anche nelle sue opere successive: dalla scena di sesso interrotto per uno sfiancante sfogo a sproposito, passando per le bambine che giocano con un iPad che storpia, distorce e ridicolizza le frasi pronunciate dalla madre in Tutti gli uomini di Victoria, fino a Sybyl, psicanalista ossessionata dalla scrittura, che durante la consueta riunione per alcolisti anonimi ammette con fierezza di aver abbandonato la bottiglia ma di essere (felicemente) quasi intossicata dalla parola, da une ivresse des mots.
Accept. Struggle. Produce. Experiment. Break on Through.
Glasvegas
Tornando quindi a Il personale è politico di Hanisch, frase pubblicata in difesa dei gruppi di autocoscienza e presto diventata uno tra i più noti slogan femministi degli anni '70, la soluzione, se di soluzione vogliamo parlare, in film autentico e selvaggio come La Bataille de Solférino è che la liberazione e la risoluzione del conflitto passano anche attraverso l'incontro e lo scontro con un elemento altro rispetto a noi. La comunità di Solférino genera un gruppo di autocoscienza anarchico e sui generis, lontano dai canoni: il nuovo compagno di Laetitia Virgil (Virgil Vernier) invadente e sin troppo bisognoso di giustificare la sua presenza nei confronti del suo ex, il babysitter recalcitrante, l'amico quasi-avvocato di Vincent accompagnato dal cane; un coro dissonante che, se ancora non è capace di ascoltarsi vicendevolmente – come la società imporrebbe, all'interno delle relazioni tra adulti - riesce ad offrire all'altro, almeno per una notte, la possibilità di una (ri)collocazione all'interno di una nuova ottica, di una nuova prospettiva.
Più che un gruppo di autocoscienza, un autoscontro redentore che, attraverso il conflitto, permette di ricostruire – per quanto tempo, non è dato sapere – una parvenza di precario equilibrio del tutto personale, disegnato attorno a un'atipica famiglia allargata.