Commedia, Sala

LA BANDA DEI BABBI NATALE

TRAMA

La sera del 24 dicembre, alla periferia di Milano, vengono arrestati tre loschi figuri. Si tratta della “banda dei Babbi Natale”, come sospetta la polizia, o la verità è un’altra?

RECENSIONI

Aldo, Giovanni e Giacomo non rinunciano al consueto appuntamento natalizio e, delegata la regia a Paolo Genovese (come già avvenuto per Tu la conosci Claudia?, affidato a Massimo Venier, e Il cosmo sul comò, diretto da Marcello Cesena), portano sullo schermo l'abituale storia di un trio balordo (s)eppure funzionale, unito da uno scopo comune (qui lo sport, in precedenza era stato il viaggio, in Tre uomini e una gamba e Così è la vita; il teatro, in Chiedimi se sono felice; il crimine, ne La leggenda di Al, John e Jack; una donna, in Tu la conosci Claudia?) e dal consueto repertorio di gag fisiche, in questa occasione meno invadenti del solito, preferendo il film puntare sui caratteri contrastanti dei tre amici e su una narrazione contorta e frammentata (nessuno tiri in ballo Rashomon, però), a formare una sorta di giallorosa 'di stagione', che intrattenga le famiglie senza offendere il pudore dei piccoli e l'intelligenza degli adulti. Peccato solo che questo garbato divertissement natalizio, o cinepanettone evolution che dir si voglia, rischi di risultare anche più indigesto dei suoi beceri concorrenti. La confezione è al solito lussuosa (anche in ragione del cast di contorno, in cui spiccano facilmente Angela Finocchiaro e Massimo Popolizio, e della presenza di Mina nella colonna musicale), ma il film non riesce a ingranare, per l'ingombrante presenza di personaggi completamente accessori (Giovanni Esposito/Benemerita) quando non grevi e pacchiani (Mara Maionchi, alle prese con un personaggio che, con diversa disinvoltura e ben altre sfumature di perfidia, avrebbe potuto essere sostenuto da Rosalina Neri), per la dinamica piuttosto nota e ormai usurata di molte situazioni comiche (quasi tutte risolte per accumulazione, come nel caso dei sempre frustrati tentativi di Giovanni di essere finalmente sincero con le sue donne), per le citazioni generosamente profuse ma fin troppo ingessate (il sogno di Giacomo) o ancora per una scrittura che non si solleva (se non, in parte, nella mezz'ora conclusiva) da un livello da fiction di Raiuno, brillante e frenetica ma in fondo placida e prevedibile. Il consapevole miscasting (Giovanni nei panni di un Casanova da bocciofila e Giacomo vedovo inconsolabile che affascina la bella e ben più giovane collega) non è spinto fino a quei vertici dell'assurdo che potrebbero giustificare l'azzardo, finendo per prodursi un effetto, piuttosto deprimente, da 'Woody Allen anni Novanta/Duemila'. Alla fine gli elementi migliori sono quelli che, per caso o per scelta, rimangono nell'ombra: su tutti, i variopinti bagni pubblici di frontiera e i dipinti che arredano la sinistra dimora di Giacomo. Una visione blandamente piacevole, che evapora prima che siano terminati i titoli di coda.