Fantascienza, Recensione

L’ALBA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE

Titolo OriginaleRise of the Planet of the Apes
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2011
Durata105'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

San Francisco. Lo scienziato Will Rodman, in cerca di una cura per l’alzheimer, sperimenta un nuovo farmaco sulle scimmie. Con esiti (im)prevedibili.

RECENSIONI

In piena epoca remake / prequel / reboot, anche la vetusta saga de Il Pianeta Delle Scimmie (1968) ha il suo Ur-episodio fondativo, che prende tre scimmioni con una banana: un po’ remake (1999 – Conquista della Terra, Ep.IV, 1972), un po’ prequel (del remake di Tim Burton), un po’ reboot (di fatto, è un riavvio “alternativo” della vicenda). Ur-episodio scritto maluccio, conviene puntualizzare subito. A livello generale, scienziati che giocano a fare dio e CEO senza scrupoli sono i marciosi cliché che fanno da motore (im)mobile alla vicenda. Scendendo nel particolare, teoria e prassi della manipolazione genetica sono manipolate con ingenua approssimazione, i personaggi sono poliedri con poche (s)facce(ttature) e le micro-inverosimiglianze/forzature di contorno lavorano ai fianchi lo spettatore mediamente “attento” dall’inizio alla fine, senza soluzione di continuità. Eppure, L’alba del pianeta delle scimmie ha il suo perché.

Intanto, è girato con cognizione di causa. Le sequenze di evoluzioni scimmiesche sono una gioia per gli occhi, con le digitalizzazioni WETA che ormai hanno un look&feel familiare, non realistico in senso stretto ma efficace e in qualche modo riconoscibile, mentre Wyatt opta per il piano sequenza come sintagma privilegiato. Fa bene, perché già le prime scorribande di Cesare nella casa di Will Rodman lasciano il segno. Ma è soprattutto il long take tra le sequoie a mostrare i muscoli, con la spettacolare arrampicata del baby scimpanzé che conclude la scalata adulto, e le ellissi temporali fluidamente inghiottite dal fogliame.

E’ comunque la vicenda “umana” di Cesare a fare il film. L’ormai specializzato Andy Serkis dota lo scimpanzé di modulazioni umorali inquietanti, con mimica facciale e linguaggio del corpo perfetti, e il vero epicentro emotivo di Rise è localizzato proprio nell’evoluzione/rivoluzione di questo Überaffe destinato a conquistare il mondo alla guida dei suoi simili. Se a questo si aggiunge che, al di là di tutto, il ritmo (sostenuto) è costante e il finale in crescendo action di rivista ma comprovata spettacolarità, si può parlare di operazione complessivamente riuscita. E capace di reggere la trilogia che sembra ipotesi sempre più concreta e percorribile. Auspicabilmente, senza l’imperscrutabile James Franco.

Prequel e reboot tecnologico: i poco prolifici sceneggiatori/produttori Rick Jaffa e Amanda Silver (ultima prova: Relic) spiegano come tutto iniziò, prima del romanzo di Pierre Boulle all’origine di Il Pianeta delle Scimmie di Franklin J. Schaffner (il cui protagonista, Charlton Heston, appare in TV). La loro arguta idea rinviene in un’unica causa sia l’evoluzione di questi primati sia la fine del genere umano. Purtroppo, consegnano all’inglese Rupert Wyatt (Prison Escape) un trattamento colmo di riferimenti alla saga originale ma scolastico, partendo da Frankenstein per arrivare a Spartacus (come faceva 1999: Conquista della Terra). Fa la differenza, rispetto ai capitoli anni settanta (glissando sul reboot di Tim Burton, mosca bianca), l’imprinting tecnologico dei maghi degli effetti speciali della Weta Digital: non più le maschere da Oscar del film del 1968 (efficaci in quanto non celavano le espressioni del viso) ma un digitale che, per quanto posticcio quando si limita a “disegnare” ex-novo volti, sagome e movimenti, è assolutamente meraviglioso nell’utilizzo del motion capture derivato da Avatar, con l’upgrade del suo utilizzo in esterni. Quando entra in campo Andy Serkis nei “panni” di Caesar, il film prende anima, corpo e credibilità, così come la rivolta di schiavi in un’opera molto animalista. Le coordinate dello storyboard nelle scene d’azione sono molto più inventive e riuscite di quelle della trama, con una battaglia finale sul ponte di San Francisco da antologia.