TRAMA
La Cina è minacciata dai cannoni di Shen, pavone tornato per decretare, con essi, la fine del kung fu. Po e i cinque cicloni hanno il compito di fermarlo, ma il panda è frenato da un doloroso e rimosso passato.
RECENSIONI
Po salva il kung fu
La Dreamworks incrina il retaggio maschile nel cinema d’animazione e scommette sull’autrice del prologo in 2D del precedente capitolo, la coreana Jennifer Yuh, che potenzia i caratteri femminili (Tigre e la capra divinatrice sono fra i migliori) e la meraviglia tridimensionale fra campi lunghi e scenari dove immergersi nella profondità di campo, anche di fronte a movimenti sostenuti (la sequenza sui risciò è memorabile). Il contributo come consulente creativo di Guillermo Del Toro garantisce un design più dark e umori tormentati (il pavone Shen, impressionante per espressività), mentre è fatta salva la simpatia del peluchoso e fanciullesco urside Po, Eddie Murphy (non scurrile) tanto smargiasso e impavido quanto goffo, ingenuo e mangione. A funzionare meno di Kung Fu Panda sono racconto e narrazione: il primo si limita a opporre eroi e rivali sia nel presente che nel passato, con soluzioni/rivelazioni prevedibili ma, per lo meno, è impreziosito (contributi di Charlie Kaufman) da temi meno spiccioli, quali la violenza del progresso sulla Natura stile La Principessa Mononoke (la città del ferro e del fuoco), il collegamento fra Po e i panda come emblema delle specie a rischio di estinzione, il parallelo Po/Shen fra trauma dell’abbandono e autodeterminazione per superarla e lievi finezze filosofiche (il cavaliere bianco e nero della profezia è, anche, yin e yang); i modi della seconda, invece, inciampano in certi cliché virulenti del cinema hollywoodiano, vedi la morale sul “Chi sei?” urlata, reiterata, impoverita e certi patetismi insiti nei dialoghi (che le inflessioni vocali di Fabio Volo, voce di Po al posto di Jack Black, accentuano). La Dreamworks, a differenza della Pixar votata alla centralità della trama, privilegia l’effetto di invenzioni/gag singole da incastonare in drammaturgie tradizionali, e qui ce ne sono parecchie che incantano per tenerezza e/o buffoneria: a partire dalle scene relative al tormentone della “pace interiore”, passando per l’effetto “Pac-man” del drago che “mangia” i lupi, per finire con l’emozionante finale che trasforma la goccia d’acqua in palla di cannone.