TRAMA
La storia di PO, un panda imbranato che, da tuttofare nel chiosco di spaghetti del padre, diventerà un illuminato del kung fu: il grande maestro dragone…
RECENSIONI
Classico zuccherino by Dreamworks, Kung Fu Panda si ritaglia il proprio spazio con le più tipiche e collaudate convenzioni. Che sia la Cina, ancora debordante del clima mistico post-olimpiade (anche Jet Li si sta auto-riesumando per ostacolare lo pseudo “Indiana Jones” Brendan Fraser) o qualsivoglia contesto, questo spicchio dell’animazione si accontenta di reiterati meccanismi: divertimento (quasi) assicurato, rischio (sotto) zero.
Alla parodia esplicita che smorza il clima austero e epico dell’antica arte marziale, si affianca il quizzettistico gioco del riciclo. Anzi potremmo proprio subordinare al ribaltamento parodico le sottotracce citazionistiche; il processo di individuazione, infatti, si presta a smontare l’organismo in questione, rimandando ad altro, ad una bulimica memoria di immaginari rimescolati. (uno su tutti il trittico Guerre Stellari: Tai Lung è Dart Fener, Oogway Yoda e Shifu Obi Wan, per poi strizzare l’occhio a Scorsese – Taxi Driver - e Carpenter – Grosso guaio a Chinatown). Ulteriore tappa è la fanfara di gags, ipercinetica e subdolamente tappabuchi come sempre. Prendiamo una storia ove i punti cardine sono più o meno quattro: se nel svilupparla non si raggiunge la politica dell’ora e mezza, basta infilarci una vagonata di slapstick, tanto è tutto legittimato dalla goffaggine del protagonista principale, avatar di uno humor schizofrenico e macchiettistico.
Si passa così al pachidermico panda Po, ultimo beniamino di un “programma” di formazione propedeutico all’indottrinamento dei più piccoli. Sinteticamente: non bisogna accontentarci dell’ “ognuno ha il proprio posto nel mondo” , ma puntare all’ “oggi” , che “è un dono” (quindi carpe diem! ) perché, dal momento che il passato è passato ( “è storia” ) bisogna inseguire i nostri sogni, dapprima trasformando i vizi in punti di forza (la golosità) per superarli ( “non ho più fame!” ) con la passione e il segreto più segreto di tutti, la chiave del prescelto… beh, questo lo dovete IMMAGINARE voi!
La morale è così assicurata, atonica nell’aforisma di un gioco corretto che non aggiunge niente, ma si presta “umilmente” ad accontentare. In realtà è il ritmo a dominare, forte di una visione enfatica che, giocando con gli stilemi di genere, ora mostrandoli (i maestosi dolly di matrice epica-kolossal) ora esasperandoli (i continui rallenti nei combattimenti che declassano l’action in comico), rifugge la poesia, la libertà di un’immagine cartoon sempre più scannerizzata da altro e mai autosufficiente (stiamo ovviamente parlando del format Dreamworks).
Non è una caccia alla streghe, perché il divertimento – ahimé – c’è; forse bisognerebbe comprendere che l’ammaliamento non si basa unicamente sull’epilessia.