Biografico

KUNDUN

Titolo OriginaleKundun
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1997
Durata128'

TRAMA

Morto il tredicesimo Dalai Lama, i monaci ne scoprono la reincarnazione nel figlio di due contadini. Una volta cresciuto, Kundun dovrà affrontare la più grande tragedia per il Tibet: l’invasione della Cina maoista.

RECENSIONI

Quando il cinema si libra sopra le umane cose e fa senso con la purezza del suo linguaggio iconografico, con movimenti, inquadrature ed onirismi di una regia immaginifica (le soggettive del bambino, le terribili visioni di morte, fra cui il plongée sul Dalai Lama perso nella massa di monaci massacrati ed il simbolismo del sangue che invade l’acquario), con lo sguardo perso nel colore e nei paesaggi, con il montaggio composito e veloce (di Thelma Schoonmaker, moglie di Michael Powell, autore di un Narciso Nero che qui sparge il profumo dei suoi simbolismi), con l’incanto dei costumi e delle scenografie (Dante Ferretti), con il perfetto contrappunto di un commento sonoro (Philip Glass) che fonde archi e canti tibetani. Scorsese squarcia con figure allegoriche lo studio realistico delle psicologie, completa il percorso di decantazione con una parte finale che vola sulle ali della fantasia, finalmente scevra dalle questioni terrene, dal Mandala (il mosaico sacro di sabbia colorata che raffigura la formazione dell’universo) dove “Tutto cambia” e si preconizza che il Tibet (ricostruito in Marocco, con l’ausilio di effetti digitali) sta per essere spazzato via. Con un indotto percorso empatico, il terzo occhio dello spettatore proietta un’esperienza dello spirito che commuove e accorda con gli animali, la natura, i sensi tutti. Un cinema che sogna la trascendenza: a differenza del sofferto e controverso L’Ultima Tentazione di Cristo, Scorsese sposa la luce dell’Illuminato (Kundun), vede con i suoi occhi, conserva la schietta e sapida semplicità del buddismo, lontana dai sottotesti e le ambiguità. Complice la sceneggiatrice Melissa Mathison (E.T.), è come se ritraesse un alieno sulla terra, un’accertata divinità incarnata, a rischio d’agiografia ma, dello script, evita la matrice politica (Mao demonizzato, Bene-Male come Buddismo-Comunismo) e dello sconto fa il proprio punto di forza, nell’ambizioso tentativo di contagiare la visione con pulsioni inconsce d’affezione. Basta poco per amare Il Piccolo Buddha quando non è occidentalizzato, plateale, senz’anima come quello di Bertolucci.