TRAMA
Estonia, ultima frontiera: in una classe di idioti cinici e menefreghisti, il gruppetto capeggiato dal bullo di turno produce di continuo angherie ai danni di coloro che appaiono caratterialmente più vulnerabili, prima il disadattato Joosep, e poi Kaspar, colpevole ai loro occhi di aver difeso il compagno. Ma il padre di Joosep custodisce in casa armi da fuoco. L’esasperazione porterà i due ragazzi a una decisione estrema…
RECENSIONI
Bowling for Tallin
Il titolo della recensione sembra parafrasare con tono divertito l’inchiesta cinematografica di Michael Moore, ma il pensiero corre immediatamente a Gus Van Sant, quasi come se il film dell’estone Ilmar Raag potesse rappresentare il controcanto ideale di Elephant. La verità non sembrerebbe poi tanto diversa. Lo stesso regista, durante l’incontro col pubblico romano svoltosi al cinema Farnese, ha voluto sottolineare quanto fosse rimasto personalmente scioccato dai fatti di Columbine, avvenuti proprio nel periodo in cui si trovava per studio in America; ma a questo ha anche aggiunto la volontà di offrire una sua interpretazione cinematografica rispetto ad episodi di natura analoga, che sempre più frequentemente vanno verificandosi tra scuole e caserme nei paesi dell’area Baltica, ovvero Estonia, Lituania, Lettonia, nonché la vicina Finlandia. Anzi, in questo vertiginoso accavallarsi di realtà e finzione cinematografica, chi era presente alla proiezione di Klass e al successivo incontro sarà rimasto senz’altro turbato nell’apprendere, poche settimane dopo, del grave fatto di sangue accaduto proprio in Finlandia: ci si riferisce, ovviamente, allo studente che in un liceo della Finlandia ha fatto fuori 8 persone, dopo aver annunciato le sue intenzioni su Youtube!
Fa ugualmente un certo effetto sentire da Ilmar Raag che alcune delle scene più crude, sgradevoli, mostrate nel suo film, sono state ispirate da testimonianze raccolte presso rappresentanti delle istituzioni scolastiche o della polizia, oltre che dai ragazzi coinvolti in episodi più o meno simili di bullismo. Nel rielaborare questo materiale l’autore ha dato vita ad un oggetto filmico indubbiamente grezzo, capace di avvicinarsi nello stile di riprese a uno standard semi-documentaristico, ma altrettanto pronto a inglobare escalations drammatiche di un certo rilievo. Nella galleria di ritratti che si viene a creare, l’ottuso e desolante cinismo esibito dalle nuove generazioni colpisce almeno quanto l’impossibilità per i più volenterosi di trovare un qualsiasi punto di riferimento; non lo si trova certo presso genitori ed insegnanti visibilmente distaccati, privi di empatia, ridotti a semplici burocrati nell’amministrare determinati rapporti, quelli con ragazzi disabituati poi ad avere un dialogo aperto e produttivo tra loro o con elementi esterni. Appaiono ridondanti, invece, alcuni dei montaggi clipparoli che a ritmo di musica hip-hop introducono le differenti fasi, orchestrate in forma quasi diaristica, di un racconto cinematografico che conserva l’impronta di un teen movie inacidito, sarcastico e spiazzante, perciò perfettamente in grado di rielaborare certe risorse espressive in forme meno scontate e assai più penetranti.
Stefano Coccia