Commedia, Recensione

KISSING JESSICA STEIN

TRAMA

Jessica, gornalista nevrotica, delusa dagli uomini, conosce, mediante un’inserzione di marca gay, alla quale risponde quasi per provocazione, la gallerista Helen. La conoscenza sfocerà in una relazione ma…

RECENSIONI

Premiato ai festival e molto apprezzato dalla critica di oltreoceano KISSING JESSICA STEIN è una commedia partorita dalla mente delle due attrici protagoniste, la Juergensen e la Westfeldt, autrici di una sceneggiatura immediatamente notata da un produttore indipendente. In realtà il filmetto, pur avendo un suo innegabile piglio, non ha molto di originale, ricalcando gli stilemi di tanta commedia metropolitana che ha in Woody Allen il suo principale punto di riferimento. E gli standard il film li rispetta tutti: ambienti sofisticati, diatribe intellettuali su amore & sesso, vernici e citazioni colte. Quello che cambia è l'argomento, non troppo sfruttato, del lesbismo come possibile via verso la realizzazione sentimentale e sessuale senza far insistere la materia sul piano politico-sociale ma mantenendola opportunamente su quello intimo. Soprattutto all'inizio il film corre su binari battutissimi, nella narrazione delle disavventure di Jessica con gli uomini, nel disegnare i rapporti della protagonista con i colleghi dell'ufficio, col suo ex, scrittore quasi fallito e adesso suo principale: la necessità di presentare tutti i fondamenti della storia rende l'incipit piuttosto convulso e il susseguirsi delle situazioni si riduce a una pesante girandola di chiacchiere. Solo più avanti il film si distende e fa apprezzare qualche soluzione accattivante e divertente, ma di cinema se ne vede pochino continuando l'opera a denunciare la sua derivazione cabarettistica a ogni piè sospinto, non essendo altro che una serie di sketch - che vivono di battute più o meno felici - legati da un filo che a volte sembra spesso e a volte esile fino al pretestuoso. Verso la fine il film si banalizza del tutto perdendo anche in gusto, grossolano e piuttosto scontato risultando il riannodo dei fili tramici.

Il turbinio e le luci di New York, le tradizioni della famiglia ebrea, dialoghi scoppiettanti e pieni di balbettii, musica jazz di sottofondo. Sembrano gli ingredienti di un film di Woody Allen, invece si tratta dell'opera prima di Charles Herman Wurmfeld, che dirige un progetto sostenuto con ostinazione da Heather Juergensen e Jennifer Westfeldt, interpreti, sceneggiatrici e produttrici del film. Nulla di nuovo nella descrizione delle nevrosi della middle-class alla soglia dei trent'anni. Molte delle situazioni proposte, infatti, pescano sa un immaginario (soprattutto cinematografico) a cui siamo piu' che abituati: lo spettro del matrimonio come "must" sociale, la rapida successione degli uomini contattati e poi scartati dalla protagonista, la mamma invadente, petulante ma saggia e lungimirante, la nonna arzilla e caustica, la collega di lavoro bruttina ma curiosa e comprensiva, l'ex-amore che torna a far battere il cuore. L'unico aspetto davvero originale e' la leggerezza con cui viene affrontato il tema dell'omosessualita', questa volta femminile. Nessun integralismo nel dimostrare che un sesso e' per forza meglio dell'altro, nessun invito esplicito alla tolleranza, nessun trauma emotivo o dilemma morale da superare a causa della scelta effettiva. Il film va oltre, dando tutti questi passaggi per scontati o non necessari e si sofferma invece su una storia d'amore, nata quasi per caso, che si infiamma per poi intiepidirsi, come mille altre storie d'amore. Questo taglio maturo, unito alla verve dei dialoghi (solo un paio, pero', le battute fulminanti) e alla credibilita' delle due protagoniste, conferisce al film una certa freschezza che lo distingue da altri prodotti similari e piu' ambiziosi. Niente approfondimenti o dettagliate analisi psicologiche, quindi, ma una piacevole commedia che, come si gusta, si dimentica in fretta.