Drammatico

KINATAY

Titolo OriginaleKinatay
NazioneFrancia/Filippine
Anno Produzione2009
Durata110'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Peping sta per sposarsi con la giovane donna che gli ha da poco dato un figlio. Uno studente dell’accademia di polizia squattrinato come lui non può però rifiutare una facile opportunità di guadagno e, già coinvolto in un traffico di droga, accetta con leggerezza la proposta di un lavoro ben pagato offerto da un collega corrotto. Per Peping comincia quindi un vero e proprio incubo che prende la forma del rapimento, la tortura e l’omicidio di una prostituta. Sconvolto da questa esperienza, Peping sarà quindi costretto a chiedersi se anche lui è un assassino.

RECENSIONI


C’è qualcosa di osceno nel cinema di Brillante Mendoza. C’è la nudità indecente di una ars retorica scarnificata, elementare, che non dissimula mai il suo discorso, che pone l’accento sugli espedienti a cui ricorre per produrre senso, scoprendo dissoluta la sua simbologia, il didascalismo di metafore goffe che la mdp cerca all’interno della realtà inscenata, in un realismo drastico che scruta le sue viscere, ne seziona elementi contraddittori, illuminanti, irridenti: in questa storia di formazione e degenerazione da b-movie stantio, ridotta al ritmo binario, luce in 35mm e poi digitale che scruta nel buio, ingolfata prima dei corpi, dei rumori, del verbo di Manila e poi persa nella notte, pervasa da un sound-design invadente che disegna emotivamente quanto lo sguardo non coglie, Mendoza punteggia la narrazione, il respiro lungo della verità cinematografica, di dettagli che è proprio il reale a fornire, soffermandosi su immagini e parole che entrano in attrito con la storia narrata, divengono echi ironici o perturbanti, sovrasignificando il racconto mentre lo ancora al reale, elevandolo a facile parabola, con ironia ferocissima, impietosa innanzitutto verso il film stesso. L’esempio più cristallino: dopo aver assistito al macello scorgiamo sulla maglia di Peping la scritta: “L'integrità, una volta persa, è persa per sempre”. E’ una morale urlata, un crudele gioco di parole verso il corpo martoriato della prostituta, è la fine della decenza del reale, è la sua ipocrisia, la sua nemesi costante ed immanente. Il realismo è già la propria caricatura, saturo di parole già spese, di cose già viste, di storie già raccontate, di frammenti di simboli già criptati, ormai prossimi alla putrefazione. Non mima niente / L'arte dell'impazienza / Sovrappone un'altra immagine /Mentre passiamo bruciando. Kinatay mostra le immagini che la realtà sovrappone a se stessa e l’atto di svelare è già una tabula rasa, a mano marcata, una metariflessione che si annulla nell’attimo in cui si palesa. Un’ esperienza sensoriale destabilizzante che deride il senso codificato/digerito/assimilato dal reale, in preda ad un pessimismo che raramente ha trovato vesti più aderenti. Non c’è piacere alcuno in questo film, pornografia, certo, ma solo se arrotondi per difetto: snuff movie incentrato sull’(auto)massacro dell’immaginario/reale, sulla sua squallida lussuria di significati, impotenza e ridondanza del dire cinematografico. Non c’è nulla a cui aggrapparsi, in Kinatay, radicale e devastante esperienza sull’abisso.