Thriller

KILLSHOT

Titolo OriginaleKillshot
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2009
Genere
Durata84'
Sceneggiatura
Tratto dadall'omonimo romanzo di Elmore Leonard
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

I coniugi Colson sono testimoni di una tentata estorsione e vengono inseriti dalla polizia in un programma di protezione, ma sono tutt’altro che al sicuro…_x000D_

RECENSIONI

Cos’ha Elmore Leonard in più (o “di diverso” – o anche – “di maggiormente spendibile cinematograficamente parlando”) rispetto ai suoi colleghi apparentemente omologhi o giù di lì? Lansdale, per dire, ha quella prosa soffocata dalle similitudini e dalle metafore che contribuiscono a rendere i suoi lavori artefatti, costruiti per piacere e dare al lettore quello che il lettore si aspetta. McCarthy è dannatamente bravo ma dannatamente serioso e va maneggiato con cura (i Coen, a ripensarci, hanno fatto un lavoro davvero egregio). Bunker, per dirne un altro, non è questo gran prosatore e ci pare non regali niente di eclatante né dal punto di vista dell’intreccio/costruzione né da quello del dialoghismo.

Leonard ha il dono della veridicità. Nei romanzi di Leonard si respira come un’aura di in medias res perenne e totalizzante, riscontrabile a livello di storia, intreccio, dialoghi. C’è apparente understatement, c’è naturalezza, c’è tutto: personaggi indimenticabili e dimenticabili, cattivi banali – epici punto – buffi per sbaglio senza forzature, ci sono storie colte nel loro farsi, c’è azione non spettacolarizzata e ci sono dialoghi più veri del vero. E il Madden di Killshot prova a dare Leonard quello che è di Leonard: ci sono episodi splendidi ricalcati alla lettera (la fredda, tranquilla, “vera” uccisione di Papa), efficacissimi dialoghi (perché) copiati e incollati, sequenze action ipotrofiche e quotidianizzate. In tutti questi frangenti, il film ci pare funzionare.

Altrove, però, Killshot scricchiola, ossia quando l’aderenza al testo lascia il posto a licenze che stonano un po’ con lo spirito leonardiano che permea il tutto. E’ in particolare la figura di (Black)Bird a uscirne forse troppo smussata, fornita di un alibi pregresso (l’incidentale uccisione del fratello) e ulteriormente umanizzata dalle fattezze di un Rourke (pre-Wrestler) che fa subito crepuscolo degli idoli, orgoglio e sconfitta, mentre giustificabili e riuscite ci sembrano altre scelte divergenti rispetto alla fonte mirate ad accelerare alcune dinamiche interne (il presentare la coppia di protagonisti in crisi ab initio) o a tagliare elementi oggettivamente “inutili” (la figura del figlio).

Questo ritorno di Madden, in definitiva, non scioglie nessun dubbio sull’autorialità del regista (sempre che qualcuna abbia la voglia e il tempo di farsi venire dubbi del genere su un tipo come John Madden) ma si rivela una degna (e produttivamente parlando travagliatissima) trasposizione del bel romanzo di uno scrittore “importante”.