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KILL BILL E GIARRETTIERA COLT

Introduzione

L’omonimia non mente: Nicoletta è mia sorella, sorellastra per la precisione. Quest’articolo le rende omaggio prendendo spunto dalla citazione che Quentin Tarantino le ha riservato in Kill Bill (uno degli pseudonimi di Uma Thurman è Arlene Machiavelli; nella prima stesura della sceneggiatura doveva costituire omaggio letterale: Nicoletta Machiavelli) ma non cela alcuna malizia nepotistica od opportunistica: c’è sempre stata una tale distanza d’età e chilometrica fra lei e me (vive a Seattle) che non possediamo un vissuto comune e, solo grazie alle e-mail, abbiamo incominciato, da qualche anno, a conoscerci. Nicoletta Machiavelli attrice è, per me, un oggetto totalmente sconosciuto, anche perché la maggior parte dei film che ha interpretato sono proprio Invisibili (per ricostruirne la filmografia esatta ho torturato i sassi che erano sui set): lei non ne parla (scrive) più volentieri (le testimonianze che troverete qui sono uno scoopissimo, e la loro natura di gossip anticonformista farebbe invidia alla “Hollywood Babilonia” di Kenneth Anger), parenti amici e tanti guai sembrano aver rimosso. Per un cinefilo come me, dimenticare set e incontri cinematografici equivarrebbe a bestemmiare Dio, ma dai dettagli (che Nicoletta, per sua natura, non omette né edulcora di certo: che mito!) che saltano fuori in queste testimonianze, ci si rende conto che il cinema forse è meglio sognarlo in sala che farlo, come forse arrivò a convincersi Nicoletta. Oggi lei non ha più alcun contatto con le mecche del cinema, è, in una parola, dimenticata.

La Carriera: volume 1

Non è nata a Firenze, come tutte le fonti riportano, bensì a Stuffione (Modena), nel 1944. Discendente dalla famiglia cui appartenne Niccolò Machiavelli (ecco perché i suoi abili creatori d’immagine vollero nascesse a Firenze…), di madre americana (conosceva perfettamente l’inglese e questo le permise un lancio cinematografico all’estero), a Firenze studiò pittura all’Accademia di Belle Arti. Il nostro fratello maggiore, Brandino, abitava a Roma nella stessa pensione vicino Piazza del Popolo dove soggiornava il costumista Piero Gherardi: venne a sapere da quest’ultimo che Dino De Laurentiis stava cercando un volto nuovo per fare Eva in La Bibbia di John Huston. Nicoletta venne a Roma, le furono fatti dei provini e De Laurentiis le fece firmare un contratto settennale. Non interpretò Eva perché Huston voleva una bionda americaneggiante (Ulla Bergryd). Esordì comunque nel 1965 in Thrilling con il nome Nicoletta Machiavelli Rangoni, trecce lunghe e sguardo assassino (l’episodio diretto da Lizzani con Alberto Sordi, “L’autostrada del sole”: un gioiellino figlio di Il Sorpasso  e in odore di Non Aprite quella Porta) e come protagonista femminile al fianco di Ugo Tognazzi nel film Una Questione d’Onore. Diretta da Luigi Zampa, è una pellicola divertente, macchiettistica, finanche tragica e ricca di folklore inusitatamente feroce (frasi del tipo “Fino a sei anni sono bambini poi diventano sardi…”; “Non c’era bisogno che diventasse una regione autonoma perché è già uno stato a sé”; “Il Far West non è niente a confronto”), a tal punto che qualche magistrato sequestrò la pellicola. Si trasforma nella storia di un amore impossibile per colpa di assurde convenzioni tribali, dove conta più l’apparenza che la sostanza. Nicoletta mostra “Ottime doti di fotogenia, piena padronanza scenica e un promettente temperamento drammatico, in un ruolo non facile né consueto” (Carlo Alberto Peano, Filmlexicon, 1974). A seguire, Nicoletta partecipò a un altro film a episodi sempre al fianco di Alberto Sordi come Nicoletta Rangoni Machiavelli: I Nostri Mariti (1966: episodio di Luigi Filippo D’Amico “Il marito di Roberta”), nel quale “Mostrava anche una discreta verve comico-caricaturale” (Peano, ibidem). Ruolo mascolino e proto-femminista in ridere (di cui…ridere, secondo lo sceneggiatore Rodolfo Sonego). “Divenne una star, molta pubblicità sfruttava il suo nome nobile, e i rotocalchi raccontavano le storie più folli sulla sua vita” (Brandino dixit). Nel 1966 una piccola parte in Se Tutte le Donne del Mondo…(Operazione Paradiso) di Arduino Maiuri (soprattutto sceneggiatore, con idee geniali) e Henry Levin (regia ‘tecnica’), con Mike Connors, Dorothy Provine, Raf Vallone e Terry-Thomas (in due ruoli), spigliata e spassosa fantaspy-story sulla scia del successo di James Bond (tante bellezze, gadgets e azione: c’è anche Mrs. Fleming), ambientata a Rio de Janeiro e prodotta senza badare a spese da Dino De Laurentiis pensando al mercato estero. Anche questa amata da Tarantino, è ingiustamente ignorata/dimenticata.

NAVAJO JOE

Dello stesso anno Navajo Joe, il suo primo spaghetti western, genere che fece la sua fortuna (conducendola fino alla videoteca di Tarantino). Diretto da Sergio Corbucci in Spagna (Almeria), con l’acrobatica guest star Burt Reynolds (con sangue Cherokee) è per molti, oggi, oggetto di culto, con un riconoscibilissimo commento sonoro di Ennio Morricone (pseudonimo: Leo Nichols) ripreso in Kill Bill. La produzione, con un racconto di odio e vendetta volutamente basico e non volutamente grezzo, purtroppo abbandona Nicoletta a fare solo la bella statuina (ma con uno sguardo fiero e complice che le vale il ruolo da mezzosangue). Dino De Laurentiis stava rispondendo al successo di Per un Pugno di Dollari e l’aveva battezzata come esportabile icona femminile western.

Prima NicoTestimonianza:

“Burt Reynolds oggi è famosissimo, ma all’epoca ero più famosa io: è l’unico film che esiste in video qui negli Stati Uniti, grazie a lui. Che vergogna! Perché bisogna aspettare 45 minuti per sentirmi parlare in quel film, e poi…quando apro bocca la voce non é la mia. Magari ci fossero i film che ho amato fare e di cui sono orgogliosa…che figura d’attricetta scemotta (anche se carina), all’italiana proprio. Anche se Navajo Joe non è uno dei film di cui mi pregio, sono obbligata a pensare com’è buffo il destino: allora recitavo la parte di un’indiana Navajo e quindici anni dopo facevo la guida tra i veri Navajo nella Riserva indiana più grande d’America, con il paesaggio più bello del mondo, tra rocce di tutte le sfumature del rosso, di forme eccezionali, innamorandomi mentre m’istruivo sulle abitudini, usi e costumi di questo popolo affascinante. Ancora oggi porto solo gioielli argento e turchese dei Navajo, e ho nel cuore ancora un tremolio se sento parlare di loro, o sento una canzone nella loro lingua gutturale o se mi passa davanti agli occhi una foto del paesaggio di quei posti.”

La Carriera: volume 2

Lizzani la ritrova per Un Fiume di Dollari (1966), spaghetti-western che capitalizza Leone sin dal titolo ma non ha un briciolo del suo talento: pesca Dan Duryea e Henry Silva (notevole) ma ha come protagonista l’insipido Thomas Hunter. Nico è più bella che mai, al solito sotto-utilizzata, lo script di Piero Regnoli (che, lo stesso anno, pennella Navajo Joe) e la messinscenza di Lizzani sono scolastiche. Nel 1967 esce Matchless di Alberto Lattuada (dove ritrova Henry Silva): un anomalo spionistico con fantasy (il protagonista diventa invisibile).

GIARRETTIERA COLT

Stufa di fare la stellina in affitto, Nicoletta creò, col suo fidanzato, una società cinematografica: primo progetto affidarsi ad uno script del regista Gian Rocco. Insieme al fratello Brandino (anche produttore e attore nel ruolo del capitano dei francesi), rilevarono un villaggio messico-western vicino Cabras, in Sardegna, dove il film fu girato nelle classiche “sette settimane”, con Marisa Solinas e Yorgo Voyagis. “Gian Rocco riscriveva le scene la notte, aveva in mente scene surreali che costavano comunque troppo. Una delle poche scene di quel tipo che riuscì a girare fu quella dove si vede una foresta di alberi bruciati, resti di tronchi anneriti. Gherardi fece i costumi. Quando si trattò di venderlo, dietro ad una richiesta esosa di denaro, la loro società andò fallita” (Brandino dixit). Nicoletta interpreta una bella pistolera europea (nipote di Margherita Gauthier!) nel Messico del 1867, durante la rivoluzione contro i francesi: ha una mira infallibile e s’innamora d’una spia che contrasta il traffico di armi d’un bandito cattivo (“Il rosso”). Una pellicola dimenticata che, sodata l’inettitudine del regista, nella sua mediocrità merita un ripescaggio per il personaggio di Nicoletta (servita dai décolleté di Piero Gherardi) e per certe bizzarrie che potrebbero  fare la gioia dei cultori del “trash”. Il racconto non ha né senso né meta, le scene sono attaccate con lo sputo, eppure è proprio quel grossolano mix, operato da Rocco, fra pretenziosità formali e incuria, fra epica e demenziale che, infine, può divertire con idee strambe come quella del nano/baro, delle bombe a sombrero, del cattivone di turno con fare animalesco. Gian Andrea Rocco è un oggetto misterioso: di lui si sa solo che è nato a Rovigno, Istria, nel 1927 e che nel 1958, a quattro mani con Pino Serpi, diresse il documentario Ballata Spagnola, ri-edito l’anno successivo con il titolo Carosello Spagnolo. Sempre con Serpi, nel 1961, esordì nel lungo con Milano Nera e la prestigiosa collaborazione alla sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini. Giarrettiera Colt fu il suo testamento.

Seconda NicoTestimonianza:

Giarrettiera Colt fu un’esperienza incredibile: avevo già girato dei western “normali”, cioè con storie più o meno classiche, un po’ di violenza, per incassare sul filone spaghetti-western. Ma come Giarrettiera Colt, non ne avevo mai visti: la storia di questa donna con la colt nella giarrettiera la quale, tutta vestita e pettinata stile ottocento, con grande scollo e spacco laterale per, appunto, avere facile accesso alla giarrettiera, che cavalca tra le praterie e le saline della Sardegna e fa incontri con personaggi a dir poco strani…in più mio fratello era il produttore, il mio fetido boyfriend il vice produttore, mia madre era sul set (e venne da un giornalista scambiata per Shelley Winters). Ero circondata dai familiari e sapevo di non essere all’altezza. Ero stata programmata per non sentirmi all’altezza; e come sempre la mia reazione fu quella di nascondermi, fuggire. Il costumista/scenografo Piero Gherardi, di fama mondiale, il quale era anche colui che mi aveva “scoperto” qualche anno prima, si era offerto di creare il mio costume per Giarrettiera gratuitamente, ed era proprio un costume alla Gherardi! Uno scollo vastissimo, stoffa setosa di colore rosa/beige, cappellino appena appoggiato sui boccoli neri, con una veletta vezzosa…La trama del film era inusuale e non la ricordo tanto bene, ricordo l’albergo sulla spiaggia in Sardegna nel quale si abitava praticamente tutti; le note facce di truccatori elettricisti e maestranze che avevo già conosciuto in altri film; le facce sconosciute di attori e attrici che andavano e venivano per qualche giorno secondo la loro partecipazione; gli scrittori del film che erano comici e sempre agitati; il mio boyfriend fetido che urlava quando andavamo a letto e scopava con gran diletto giovani attrici in cerca di parti che gli capitavano sottomano. E poi due personaggi maschili che non dimenticherò mai: l’istruttore dei cavalli, il “cavallaro” Enzo e l’attore greco, Yorgo. Ogni mattina, vestita e truccata con ciglia finte e tutto il resto, avevo qualche oretta per imparare a cavalcare all’amazzone (cioè di traverso, ahi ahi!). Enzo era l’addetto ai cavalli per il film, li curava, li faceva muovere a seconda delle esigenze della scena, e aveva scelto per me il cavallone “Bimbo” : un cavallo mansueto e bonaccione che galoppava a ridotta velocità in paragone agli altri. Mi sforzavo ad essere una brava cavallerizza, anche se quella posizione traversa era scomodissima. Dovetti imparare a tirar fuori la colt dalla giarrettiera mentre con l’altra tenevo le redini e Bimbo galoppava. Su quella sella western piena di borchie, le mie calze a rete non proteggevano le mie povere gambe: quanti lividi la sera, e che dolore! La velina del mio cappello a volte impediva la vista. Ma grazie ad Enzo, che m’incoraggiava e con il suo forte accento romano mi diceva tutte le mattine quanto ero bella e quanto ero brava, le scene a cavallo riuscivano. Almeno in parte. Mi ricordo la prima mattina in cui dopo che Bimbo aveva cominciato un lieve trotto, Enzo che cavalcava parallelo a me, vicinissimo, mi disse di infilare i talloni degli stivaletti nei fianchi del cavallo, e Bimbo partì al galoppo. Il balzo mi spaventò, persi il cappellino, ma Enzo era lì che mi spronava: ”Brava, brava, piegati davanti, lasciati andare, stringi forte le ginocchia…”. Dopo pochi minuti ero esilarata: il vento in faccia, la sensazione di velocità e quella di essere tutt’una con l’animale che correva, l’impressione di aver finalmente imparato. Poco dopo, da ferma, risi tanto. Una delle poche risate di quel mio periodo buio. Yorgo, invece, fu l’amore a prima vista: bellissimo, caldo, morbido e affettuoso, era venuto per un periodo di due settimane e appena conosciuti, ci vedevamo di nascosto dove potevamo. Alla fine della sua permanenza, abbiamo girato insieme una scena d’amore, in una stalla adibita a studio cinematografico, con letto e tutto. Nella troupe, chi lavorò in quella scena, fra macchinisti, elettricisti e truccatori, senz’altro gustò il sapore di cosa c’era nella realtà tra noi due. Perfino la mia mamma mi diceva: “State così bene insieme, dovresti proprio pensarci”, ben sapendo che il mio trucido e vile boyfriend osservava tutto e non mi avrebbe mai lasciata. Ero la sua gallina dalle uova d’oro. Le uova d’oro della gallinella attricetta. Anche Yorgo aveva una bella ragazza rossa che un bel giorno arrivò da Roma e gli piantò una di quelle grane…La vita, però, ci rimise insieme qualche anno dopo, in quel benedetto anno 1969 che cambiò la mia vita insieme quella di tanti altri…”

La Carriera: volume 3

Nicoletta continuò nel filone che le dava più fortuna: Un Minuto per pregare, un Istante per Morire (1968, in realtà girato l’anno prima in Andalusia) non si distingue per la messinscena ma parte da un splendido soggetto di Ugo Liberatore, dove la pistola più veloce del West (Alex Cord, non un talento) è al tramonto a causa dell’epilessia ed è tormentato dal passato. A seguire un racconto teso e coinvolgente, non molto verosimile (bastavano pochi accorgimenti) ma con chiusura tragica geniale. Una Nico più bella che mai (e protagonista di una funesta storia d’amore), compare con il nome per intero (Nicoletta Rangoni Machiavelli), ed è accanto a Robert Ryan e Arthur Kennedy. Dirige Franco Giraldi, ex-aiuto regista e direttore della seconda unità in Per un Pugno di Dollari che, nel biennio 66-67, si gettò a piene mani nello spaghetti western firmando quattro titoli. Poi, in un piccolo ruolo, Nico partecipa a Candy e il suo Pazzo Mondo, pellicola censurata che voleva respirare i tempi fra psichedelia, satira e liberazione sessuale trasponendo il romanzo di Terry Southern e Mason Hoffenberg. La sceneggiatura portava la prestigiosa firma di Buck Henry, reduce da Il Laureato, la regia fu affidata a Christian Marquand che ottenne star come Marlon Brando, Richard Burton, Walther Matthau e James Coburn. Un film in generale poco graffiante ma comunque testimonianza di quella controcultura che Nicoletta abbracciò appieno: alcuni episodi sono gustosi, fra cui proprio quello con Nico nella parte di una vendicativa messicana su motocicletta. Vietato ai minori di 18, nel 1968 uscì anche Temptation di Lamberto Benvenuti, dove Nicoletta interpretava l’amante del protagonista (Mark Damon). Tornò allo spaghetti western con Odia il Prossimo Tuo dell’ineffabile Ferdinando Baldi e un ruolo moralizzatore in un film con trovate notevoli (il gioco sadico degli schiavi, la tortura fra serpenti e roditori, la dinamite al lancio) che fanno dimenticare l’assurdità di location erbose (che c’erano anche in Un Fiume di Dollari), poco credibili per essere al confine con il Messico (le Cascate di Montegelato, Manziana, Pianoro di Camposecco e la Villa Mussolini di Riccione), star maschili: Spyros Fokas, Roberto Risso (simpatica spalla), George Eastman e Horst Frank (un villain di cui Tarantino si ricorderà nell’ingaggiare Christoph Waltz). La Coppia (1968), diretto dallo scrittore Enzo Siciliano, racconta il triangolo “moglie, marito e terzo (in)comodo”: un oggetto misterioso che denuncia la nuova piega presa da Nicoletta, intenzionata a girare anche film anomali, sperimentali, d’autore, azzardati, più consoni al suo carattere anticonformista. Ecco, infatti, nel 1969 (ma realizzato l’anno prima), il premiato e controverso Scarabea di Hans Jurgen Syberberg, girato in Sardegna, ispirato al racconto di Tolstoj “Se di molta terra abbia bisogno un uomo”, dove interpreta la misteriosa e fatale donna tentatrice del titolo: “Un film che non dimenticherò mai.” (Nicoletta). L’esordio del regista tedesco, proveniente da reportage per la Tv bavarese, colpì per il modo disinvolto con cui, mentre portava a compimento la parabola funesta di un uomo avido, ritraeva anche in modo documentaristico-folkloristico e surreale una comunità innestata in quella terra, fra riti atavici, crudeli (agli occhi degli ipocriti, parlando delle macellazioni in diretta degli animali stile Il Sangue della Bestia) e lirico-provocatori (le sarde che innondano il protagonista di latte dalle loro mammelle): all’hybris del singolo, eroe del capitalismo, Syberberg oppone una realtà terragna e inconquistabile, un’opposizione-reazione della Natura (oriunda comunità-tribù millenaria compresa) dove Scarabea, sfuggente e divertita (anche quando interpreta il finto documentario della troupe tedesca), è lo spirito di un’isola bellissima alle prese con un insetto fastidioso. Curiosamente vicino a Il Profondo Desiderio Degli Dei dello stesso anno.

L’IPOCRISIA DELLA COPPIA

Terza NicoTestimonianza:

Temptation….non mi ricordo molto, credo di confonderlo con La Coppia di Enzo Siciliano, con il quale era così difficile lavorare, perché era così esigente (avendo scritto il libro) che niente sembrava soddisfarlo. Ricordo che, per una scena d’amore tra le lenzuola, il truccatore si fece in quattro per mettere cerotti color carne sulle parti intime: uno doveva sembrar nudo, ma in realtà non esserlo…che balle! Forse ero spregiudicata e “poco seria”, o forse semplicemente innocente, ma dentro di me tutte quelle ipocrisie mi facevano ridere: le due dita di cerone prima di ogni ripresa, che all’epoca aveva un odore ingrato e che era spalmato dappertutto sul corpo degli attori; le luci abbaglianti che illuminavano la scena; il noiosissimo esercizio che noi due attori dovevamo fare perché i nostri nasi, nel bacio, non creassero ombre fatali sul viso. La quindicina di persone e addetti che erano comunque presenti, anche se considerati ”troupe ridotta”, non potevano, a mio avviso, dare adito a nessun’emozione sessuale reale, era ovviamente tutta una finta, una recita. Ma non tutti la pensavano così. Senz’altro fui tacciata dai benpensanti di qualcosa. Ma è sempre stato il mio destino”.

La Carriera: volume 4

Ha una particina nella coproduzione internazionale di Quei temerari sulle loro pazze, scatenate, scalcinate carriole (Monte Carlo or bust) di Ken Annakin con, fra gli altri, Tony Curtis, Walter Chiari, Bourvil, Terry-Thomas, Lando Buzzanca, Mireille Darc e Dudley Moore. Seguito di Quei temerari sulle macchine volanti, è uno slapstick più stupido che divertente, ambientato negli anni venti. Gli Insaziabili (poi, in modo fuorviante, Femmine Insaziabili, 1969) di Alberto De Martino è un decoroso giallo all’americana fra topless e orgie hippy, con un notevole soundtrack “lounge” di Bruno Nicolai e le presenze di John Ireland, Dorothy Malone e Romina Power: Nicoletta recita la brava moglie italiana fra tante ‘poco di buono’. Immancabile la sua annuale partecipazione allo spaghetti western (in realtà girato nel 1968 da Sergio Garrone insieme ad altri due titoli): in Una lunga fila di croci interpreta Maya, bella e fiera, accanto ad Anthony Steffen e William Berger (nel memorabile ruolo di Bibbia Murdock, ripreso da Tarantino per il Samuel L. Jackson di Pulp Fiction). Partecipa all’episodio (secondo episodio della terza stagione) “Who’ll bid the million dollar?” della serie tv “Operazione Ladro” (It takes a thief): 

LIBERA

Quarta NicoTestimonianza:

“Se era quello con quel Robert Wagner, attore di terza e di molteplici serie americane di quegli anni, ex-marito della Natalie Wood, quasi accusato del suo annegamento…che ho dovuto baciare con ribrezzo su un motoscafo (di fronte alla macchina da presa, ovvio) nel mare azzurro di Porto Santo Stefano…ebbene sì confesso d’averlo fatto: particina minuscola, costume odiato, una camicia a fiorellini verdi…una scena sola, ma la costumista, amica mia, mi presentò il mio futuro marito Carmelo, scenografo, proprio lì a Porto Ercole; quindi il set naturale e bellissimo dell’Argentario. Anche se il telefilm era assolutamente inutile, divenne l’importante scena dell’inizio di un mio grande amore. E anche di un cambio di vita sostanziale. Senz’altro era il ’69, e chi non é cambiato, nel ‘69?! La scusa che ho -che avevo- per fare tanti filmetti senza importanza è che mi liberai dal contratto settennale con Dino de Laurentiis, il quale mi aveva fatto causa. De Laurentiis incappò più avanti in una colossale bancarotta fraudolenta che l’obbligò a rifugiarsi in USA e lasciò perdere la causa alla sua attricetta. Liberarsi da un contratto come quello era stato uno dei miei passi verso la libertà che un po’ tutti cercavano a quei tempi. Io ero salariata da De Laurentiis, e per una ragazzina prendevo moltissimo, certo, però lui mi “cedeva” per un film western, ad esempio, e si riprendeva in due mesi quello che mi pagava in un anno (…). Era il periodo dell’”alernativa”, c’erano tanti e poi tanti registi che facevano film di ogni genere…a me piaceva, non ero pagata molto, i film non uscivano nemmeno nelle sale (almeno in Italia), ma ero LIBERA dal contratto di De Laurentiis, che mi relegava ai filmetti western dove mi ficcava perché sapevo l’inglese (…). Era una vendetta, avevo rifiutato di essere la sua amante fin dall’inizio. Il beffardo. Comunque nel periodo dell’alternativa devo aver fatto anche qualche film politico; c’era un via vai a Roma di gente di tutto il mondo, il regista Glauber Rocha, con tutti i suoi accoliti brasiliani, scrittori, musicisti, attori. Roma era un calderone di artisti, ci conoscevamo un po’ tutti, gli happennings a P.za Navona e Campo dei Fiori accadevano dal vinaio e nelle fontane, ma non si trattava di attricette che si spogliavano, come negli anni 60, era più un’idealista ode per l’arte cinematografica, per le immagini che parlano, che potevano arrivare nei posti più oscuri a portare il messaggio…”.

LA CATTURA

In un anno particolarmente ricco di partecipazioni, gira anche La Cattura di Paolo Cavara, accanto a David McCallum: “Il ruolo della partigiana Anja è il più impegnativo che sia stato finora affidato all’attrice. È stato Cavara a volerla nel film e, secondo quanto lo stesso regista ha dichiarato, la Machiavelli ha risposto in pieno alle sue aspettative.” (Morando Morandini). Pare un remake di Duello nel Pacifico con Nicoletta, di nuovo, in panni più maschili che femminili, a significare che le donne, in guerra, erano coinvolte quanto gli uomini. 

Quinta NicoTestimonianza:

“Tutto girato in l’allora Yugoslavia, in boschi di betulle, una storia d’amore di una partigiana col soldato nemico; due soli personaggi e lui era un americano di nome David McCallum. Io ebbi una storia d’amore col Cavara, dopo il film, che mi aiutò a levarmi di torno il malefico boyfriend dei tempi di Giarrettiera. Ma ci vollero gli avvocati e le guardie del corpo. Girando un film così intimo, all’aperto, in terra straniera, per un attimo vissi la meravigliosa favola dell’unione regista-attore, che è stata il successo di tanti film. Ero curata, stimolata; era come avere un maestro, nel regista, ed essere un’attrice considerata ed affermata, per come ero trattata dalla troupe. Un piccolo assaggio che mi rese più sicura. Per un attimo mi balenò in testa che avrei anche potuto farcela, come attrice. Una cosa buffa furono gli scarponcini d’epoca (1935) autentici, di pelle e non foderati, che portai giorno dopo giorno nella neve alta due metri, anche se non erano sempre una necessità di scena, i quali nonostante tutti gli sforzi non si asciugavano mai, per cui dopo il film mi presi una bella broncopolmonite”.

POLICEMAN/NECROPOLIS

Del 1969 è anche Policeman, esordio di Sergio Rossi, censurato e edito solo nel 1971 con un VM 18. “Sposando le tesi ideologiche della sinistra più accesa Sergio Rossi ha disegnato la figura del poliziotto in una non precisata società capitalistica…L’impostazione del problema è evidentemente viziata da una visione unilaterale che non può non suscitare perplessità e riserve, accentuate anche dalle imperfezioni stilistiche che affiorano qua e là.” (Vice, Il Messaggero 25/06/1971). “Nel complesso la “carriera di un poliziotto” (che non ha connotati nazionali ma non per questo è meno precisa) è raccontata con meditata sobrietà raggiungendo punte di effettiva suggestione…Da segnalare l’ottimo livello degli interpreti e…la colonna musicale che, sul leit motiv di una canzone protestataria, riprende i motivi ideali del film: è opera del già noto e bravo Tito Schipa Jr.”(Vice, Paese Sera 25/06/1971). Nel 1970 (in realtà girato prima) un altro oggetto anomalo: Necropolis di Franco Brocani, underground godardiano/angeriano esoterico sperimentale con, fra gli altri, Carmelo Bene: “Tenendo conto dell’ideologia dei frammenti, Necropolis può considerarsi luogo di eccesso, in senso morale: è la città della morte perché è le città della vita, e viceversa…Le principali figure del film sono Frankenstein, Attila, Montezuma, Eliogabalo, le Contessa Sanguinaria, il Diavolo o situazioni emblematiche scelte nel loro momento di deflagrazione, di scoppio, come la Magia, la religione, il rapporto di tipo borghese”…”Il film evoca, in un clima sepolcrale, personaggi fuori del tempo o della realtà i quali, attraverso deliranti dialoghi e misteriosi riti, vogliono esprimere le paure e le illusioni dell’umanità dalle origini ai giorni nostri.” (Rocco Biondi, Neoavanguardia).

Sesta NicoTestimonianza:

“Me lo ricordo come fosse ieri, era un periodo molto felice per me, stavo con Carmelo lo scenografo, avevo chiuso con il cinema “regolare” per un po’ e, anche se non mi pagavano nulla, amavo fare i film come quello di Sergio Rossi. Piccola parte, ma mi sembrava un film importante e feci amicizia con Paola Pitagora, una mia coetanea che mi sembrava stupenda come attrice e persona. Sergio era un ragazzo col fuoco intesta, i capelli scompigliati e lo sguardo di chi sa che cosa vuole e lo vuole subito. Aveva un sorriso incantevole, e sapeva dirigerti molto bene, se lo dico io, che ero una vera gnocca. Carmelo era anche un po’ geloso”. “Necropolis era più o meno lo stesso periodo: un periodo in cui Roma era percorsa e traversata da una miriade di ondate cinematografiche diverse e varie; i personaggi che giravano in P.za Navona andavano dalle sorelle Rossellini, allo sdentato Pierre Clementi, che fu chi mi trovò la particina da zingara che frigge le cartoline davanti al Colosseo, in Necropolis. Per quell’unica scena, passai più tempo al trucco di quanto durò la scena stessa”.

PIETRO GERMI

Si affida a Pietro Germi per Le Castagne sono Buone (1970): film romantico a detta di tutti nel pieno declino del suo autore, con Gianni Morandi e lei nel ruolo di Teresa. Insieme con Serafino (1968) con Adriano Celentano, tesse elogi dell’ingenuità e dei buoni sentimenti che non piacquero a nessuno. In realtà, nonostante il soggetto fosse facile a tale manipolazione, nel film non c’è moralismo ma indicazione di una diversa via per ottenere Pace & Amore, senza contestare e sputare in faccia il proprio odio ai padri e, senz’altro, senza usare in modo ipocrita il sesso come arma di affermazione.

Settima NicoTestimonianza:

“Pietro Germi era un regista molto famoso all’epoca e noto per la sua bruschezza. La mia agente, prima dell’inizio del film, mi mise in guardia: “Dovrai lavorare sodo! È molto esigente e non fa complimenti agli attori”. In realtà, quest’uomo alto, anziano secondo il mio giudizio di ventiseienne, con gli occhi un po’ strabici e un eterno sigaro toscano spento in bocca, mi fece immediatamente un’immensa tenerezza. Io facevo la parte di una hippy nel suo film, scapestrata e con poca moralità, ero vestita con molti colori e mi sentivo una caricatura di me stessa. Come sempre, pensavo che fosse una parte che mal mi si addiceva. Prima di ogni scena, Germi si sedeva con me per “mettermi a mio agio” e dirmi come vedeva la scena, suggerirmi gli stati d’animo da esprimere eccetera. Mi ricordo che eravamo seduti al tavolo di cucina del set e, d’un botto, mi chiese: “Perché sei così? Perché non t’importa niente di quello che pensano di te gli altri? Perché sembra che odi tutti e vuoi essere contro il mondo e la società?”. Rimasi sorpresa dell’intrusione, non era da lui entrare nel personale. Nei suoi occhi c’era un’immensa tristezza; più tardi qualcuno mi disse che aveva una moglie molto giovane che era diventata hippy. Qualche anno dopo, incontrai Olga (la moglie, N.d.R.) in un ashram in India, ai piedi del santone Osho”.

La Carriera: volume 5

Nel 1971 interpreta il film francese L’Uomo dal Cervello Trapiantato. Il regista Jacques Doniol-Valcroze “Si serve delle tematiche della fanta-medicina imperniata sul trapianto del cervello (filone che, specialmente in America, conta un buon numero di pellicole di vario valore) per riflettere sulla debole condizione dell’uomo, perennemente sballottato tra l’ansia di perfezione e le passioni. La storia ha uno spunto ambizioso che potrebbe risolversi in un’insolita metafora fantascientifica sui tabù della psiche lacerata da un irrisolto conflitto tra mente e corpo, ma i suoi sviluppi conducono, essenzialmente, al dramma sentimentale con larghe concessioni agli stereotipi cinematografici degli inoltrati anni ’60” (dal sito “Fantafilm”). Dopo il valido L’Amante dell’Orsa Maggiore di Valentino Orsini, tratto dal romanzo di Sergiusz Piasecki, accanto a Giuliano Gemma, Senta Berger e Flavio Bucci, interpreta, nel 1972, due sceneggiati tv: in Germania è Amalie in Le avventure del barone Von Trenck di Fritz Umgelter; in Inghilterra, a Hampton, gira il giallo-poliziesco di spionaggio Lungo il fiume e sull’acqua, di grande successo in Italia, diretto da Alberto Negrin (ottima messinscena, fra PPP e mdp a mano) e sceneggiato da Biagio Proietti a partire da un romanzo di Francis Durbridge (“Vagamente mi ricordo di uno sceneggiato girato a Londra. Era un giallo e io ero vestita con una minigonna a righe marrone e bianche che odiavo…”). Interpreta un’amante/spirito libero, perno della vicenda, con sguardi maliziosi e temperamento.

MORDI E FUGGI

Ma il 1972 è l’anno di Mordi e Fuggi di Dino Risi, allegorico (e profetico, fra sarabanda mediatica, informazione pilotata, meschinità del capitalismo e delle istituzioni) scontro in salsa grottesco-criminale fra ideali e classi, con finale amaro in linea. Nicoletta interpreta una femminista bisessuale sboccata e risoluta:

Ottava NicoTestimonianza:

“Un gossip che mi piace è quello in cui, mentre giravo il film di Risi nel quale facevo la tupamaros che prende ostaggi Marcello Mastroianni e Carole André, vengo chiamata nell’ufficio del capo della polizia di Viareggio perché nella mia camera d’albergo aveva pernottato quattro notti un certo Ron…il quale a Genova era stato arrestato con 150 Kg di hashish afgano infilato nelle portiere della sua Ferrari, che era arrivata su una nave Russa dall’Afganistan. Ron era il padre di mio figlio; la mia e sua storia era appena cominciata quando lui mi seguì in quest’albergo primi novecento “il Principe di Viareggio”, dove abitava tutta la troupe del film, una commedia che ebbe poco successo. Io e Oliver Reed eravamo due mascalzoni di autostrada, politicamente motivati, che appunto rapivano per scopi di lucro e politici la coppia in mercedes Mastroianni /André. Tutto il film è stato girato sull’autostrada Pisa-Genova che allora era in costruzione. Il mio costume nel film era l’opposto di Giarrettiera: una camicia da uomo e un paio di jeans, una pistola infilata nella cintura. I miei capelli erano cortissimi, non portavo nemmeno un filo di trucco. E proprio vestita così (inclusa la pistola) andai dal capo della polizia, quel giorno, che mi aveva urgentemente mandato a chiamare. Ovviamente mi cascò la mandibola quando seppi le notizie di Ron, quando il capo mi mostrò l’articolo sul giornale di Genova. Ovviamente per lui io non ero una “complice” di questo traffico di droga, ma senz’altro fui tenuta d’occhio. Solo che in quel film non ero la sola ad essere “strana”. Girammo da fine settembre a fine ottobre, tutti i giorni sull’autostrada, tutte le notti nell’Albergo Principe e Piemonte. Oliver Reed era famoso all’epoca, e anche un famoso ubriacone, british-style. Si prese una cotta per me, che dichiarava in modi strani: per esempio invitava tutti, il regista, Mastroianni, ecc. nella sua suite all’ultimo piano per un dopo-cena. C’erano musica, squisiti dolcetti, da bere a volontà e, quando dopo qualche oretta tutti stavano per andare, Oliver chiudeva tutte le porte a chiave e spegneva le luci. C’era odore di incenso e probabilmente anche di spinello. Poi, al lume di una candela che teneva nelle mani e che lo illuminava in modo sinistro, si metteva a declamare una poesia sconnessa, o incomprensibile, fissandomi. Una volta divenne più audace (sua moglie era sempre presente) e alluse a questa ragazza dall’aria innocente che aveva ospitato un trafficante di cose esotiche sotto il suo tetto la quale da allora, non aveva volto i suoi occhi su nessun altro uomo, forse stregata dallo straniero sconosciuto…e via di seguito. A un certo punto quando i suoi ospiti si stavano innervosendo, accendeva uno di quegli stecchini che scintillano e poi apriva le porte e accendeva le luci. A volte, mi prendeva con forza la mano, come per tenermi indietro, poi la rilasciava. Che tipo! Per via del suo viso pieno e un po’ quadrato, molti pensarono che mio figlio fosse suo, ma io non l’ho mai toccato se non per dirgli: “Ma vai a quel paese!”. Di tutti i paparazzi che mi rompevano e mi giravano intorno all’epoca, nessuno mai scoprì la storia di Ron…”.

La Carriera: volume 6

Nel 1973 è la volta del pasoliniano Storie Scellerate di Sergio Citti (ambientato nella Roma papalina) e di Tony Arzenta, con Le Samouraï Alain Delon. Nel primo Nicoletta offre un nudo integrale ed è la protagonista del racconto d’apertura, nei panni di una duchessa ninfomane. Nel 1974 gira Le Malin Plaisir di Bernard Toublanc-Michel e si riunisce a Delon nel magnifico Esecutore Oltre la Legge (Le seins de glace) di Georges Lautner, tratto dal romanzo “Ricatto Mortale” di Richard Matheson:

ALAIN DELON

Tony Arzenta di Duccio Tessari (a lungo arduo da trovare nella sua versione integrale, per scene violente/sessuali censurate) è un revenge movie criminale in noir dove Nico interpreta la moglie del protagonista ed esce presto di scena ma dà il La a un eccitante film di genere che contiene sequenze che restano impresse (e un’idea di base originale, l’Interpol che aiuta il sicario per comodo in scenari internazionali), come l’inseguimento fra auto a Milano dopo il funerale, l’uccisione in rosso spinto (quasi horror) del boss tedesco sul treno, il pestaggio brutale di una donna e il finale: “Tessari ha narrato senza preoccuparsi di certe ingenuità della sceneggiatura, coincidenti con l’ingenuità del protagonista, assai più svelto di mano che di cervello. Ma il dispiego di mezzi è notevole, e non ingenuo il loro impiego registico: la serie delle violenze si snocciola con il dovuto crescendo di effetti spettacolari, tra scenografie assai varie in interni ed esterni. Senza contare che Alain Delon, con la pistola in mano, funziona comunque, e qui ha intorno una fitta schiera d’attori.” (Guglielmo Biraghi, Il Messaggero 15/09/1973)

Nona NicoTestimonianza:

“Un personaggio di nulla, quel Delon, grande libertino, megalomane, cocainomane. Mi incontrò e firmai il contratto con lui a Roma, apparentemente aveva visto la mia foto e gli sembravo adatta per il piccolissimo ruolo in un film di gangster. Girammo a Milano in un palazzo del centro una scena d’amore focosa tra lenzuola di raso (scena che deve essere finita sul pavimento della sala di montaggio,n.d.r.). Ero incinta e quando mi fu fatto presente che stavo firmando per girare una settimana a dicembre e una a marzo, nella mia testa si affacciò l’immagine di me al sesto mese di gravidanza. –Ci penseremo quando ci arriviamo- pensai tra me e me. Quando fu tempo di marzo, Alain Delon vide subito il mio stato e ci fu un attimo di pausa. Poi si rivolse al suo regista e gli disse in francese di prendermi dalla vita in su, nella scena del treno. Il personaggio che interpretavo comunque moriva nell’esplosione di quel treno. A giugno, quando nacque mio figlio, ero in giardino a Firenze che lo allattavo quando la mia vecchia si affacciò trafelata urlando: “Nicolettaaaa! C’e’ Alain Delon al telefono!” Era esterrefatta che qualcuno di così famoso potesse abbassarsi a chiamarmi a casa, per farmi gli auguri per la nascita di mio figlio. Alain Delon era carino, ma duro; il viso segnato da un cinismo e da una durezza che andavano oltre la sua età. Il suo gioco, poi, era scoperto: faceva il signore, il galante in un modo antiquato, per coprire sia un senso innato d’inferiorità, dovuto a chissà che, e anche per coprire, secondo me, una crudeltà e cinismo necessari per arrivare dove voleva lui nel suo lavoro. Era senz’altro arrivato, quando lo incontrai, era il produttore di questa serie di film, ma ancora gli si leggeva quell’insicurezza mascherata dal duro. Oh, be’, non era certo il mio tipo. Più tardi, mio figlio aveva quasi un anno, lavorai per lui su un altro film, nella costa Azzurra. La scena era cambiata; io ero più sicura del mio essere: ribelle, malvestita, hippy, col bambino mezzo nudo in braccio, e un boyfriend francese -Gabriel- al seguito. Lui aveva con sé una gelosissima Mireille Darc, e altra gente del suo entourage, fece una scena quando la costumista, una simpatica signora rossa di capelli e molto stravagante, mi aveva vestito per una scan in cui io e Alain andavamo fuori a cena, con un vestitino lungo di una seta grezza marrone, che io avevo adorato. “Mia moglie deve vestire alla mia altezza e al mio gusto!”. Fu una frase che rimase tra me e Michelle (la costumista) come l’apoteosi del comportamento “borghese” e conformista di Delon. Io me ne fregavo e arrivavo sul set con Gabriel, che portava in braccio mio figlio e a tracolla una radiolina accesa. Intuii che Alain e Mireille tiravano. Ma forse per questo le sue battute uscivano fuori perfette, i suoi movimenti facciali perfettamente eseguiti, uh-la la”.

La Carriera: volume 7

Nicoletta adotta il cinema francese (come tutte le nostre attrici stufe di fare le oche): ha una piccola parte in L’Importante è Amare, secondo e di successo lungometraggio di Andrzej Zulawski che, con i suoi modi sopra le righe, racconta l’amour fou e la disperazione di vivere fra primedonne, comprimari, comparse e fotografi/cinefili che guardano senza incidere nella realtà. Poi, gira al fianco di Jean Gabin il sottostimato La Gang dell’Anno Santo di Jean Girault (1976: fa la dirottatrice d’aereo e ha una presenza scenica invidiabile, facendo la dura coscienziosa) e il poliziottesco di culto Il Trucido e Lo Sbirro di Umberto Lenzi. Dopo La Fuite en Avant di Christian Zerbib (con Bernard Blier e Michel Bouquet), che uscì solo tre anni dopo, è la volta del suo canto del cigno, Al di là del bene e del male (1977, girato però nel 1976) di Liliana Cavani. Il suo ruolo, minore, è quello di Amanda in un’opera non del tutto riuscita ma sottostimata che tenta, fra l’intellettualismo e la provocazione, di restituire il pensiero di Nietzsche (Erland Josephson) attraverso Salomé (Dominique Sanda), “Una donna che credeva possibile vivere con due uomini, una donna libera nel senso migliore dell’espressione”. Nel segno del pensiero nietzschiano che bisogna “Imparare a dire sì a tutto ciò che è proibito” per essere immorali e dunque liberi. “Ho voluto mostrare come questa “bestia bionda”, che dominò tanto la vita del filosofo, è giunta ad essere il modello del famoso superuomo”. Liliana Cavani intervistata da Guy Braucourt in “Ecran 77, n.56, pag.10“.

UCCIDETE BILL

Scrive Massimo Giraldi nel Filmlexicon: ”I film che interpreta negli anni settanta la confermano attrice adatta soprattutto ad entrare in storie narrativamente forti, insolite per ambientazione, per sviluppo metaforico, per lo stile sporco e arrabbiato tipico di molti registi italiani del periodo. Scegliendo toni sperimentali e provocatori, autori come Orsini, Brocani e Citti la utilizzano proficuamente sul piano drammatico, mentre con Dino Risi ha modo di mettersi in evidenza anche su quello satirico-corrosivo (…). E’ il 1977, e da questo momento la Machiavelli, avendo perso, sia pure a soli 33 anni, interesse e stimoli nei confronti dell’attività cinematografica, decide di abbandonare il set per tentare altre esperienze.”

Nicoletta: “Io non ho mai visto quei film, ne ho visti pochissimi dei miei film, in effetti, non m’interessavano proprio”.

Non le interessavano la carriera, né i soldi. Voleva l’alternativa ribelle alla società. E il cinema come macchina da spettacolo, impegnato o meno che fosse, rappresentava quella società. Sparì dalla circolazione emergendo a Los Angeles dopo una decina d’anni. Se è paradossale che il revisionismo spaghettato di Tarantino la ricordi proprio nei ruoli da cui cercò di scappare lungo tutta la carriera, tutto ciò non fa che dimostrare che la sua ribellione era fondata e che abbracciare la controcultura al cinema, infine, non paga (sono praticamente sconosciuti i film da lei interpretati dopo il contratto con De Laurentiis).