Drammatico, Recensione

K-19

Titolo OriginaleK-19: The Widowmaker
NazioneU.S.A./Germania/Gran Bretagna
Anno Produzione2002
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

1961. Già prima che venga varato, il sommergibile K-19, il sottomarino che l’URSS ha approntato per la guerra fredda, subisce una serie di problemi che gli valgono il soprannome di “fabbricavedove”. Un nuovo capitano ne prende il comando ma in mezzo all’Oceano si consuma una tragedia e se ne evita un’altra di dimensioni davvero apocalittiche.

RECENSIONI

In Italia siamo abituati a guardare film ambientati in ogni angolo del mondo in cui i personaggi, magia o follia del doppiaggio, parlano perfettamente in italiano. Ma vedere Harrison Ford, icona americana per eccellenza, parlare inglese mentre interpreta la parte di un ufficiale dell'esercito russo, provoca la stessa sensazione di un gesso sulla lavagna. L'idea del cambio di prospettive, alla base del kolossal di Kathryn Bigelow, resta comunque l'aspetto più interessante del film. Per una volta, infatti, i protagonisti non sono i soliti americani, ma l'equipaggio di un sottomarino russo alla prima uscita in mare per testare l'efficacia del nuovo ordigno bellico provvisto di testate nucleari. A parte questa variante, apprezzabile negli intenti, ci troviamo però davanti al classico filmone hollywoodiano che ripropone tutti i luoghi comuni del genere: la claustrofobia del sottomarino, gli inconvenienti tecnici, i conflitti tra ufficiali, e tra ufficiali e truppa, fino alla debolezza del codardo che può trovare riscatto solo nel sacrificio. In questo senso l'adrenalinica regista di Strange Days e Point Break delude parecchio le aspettative. Non tanto dal punto di vista tecnico e della costruzione del racconto, riesce infatti a conferire dinamismo alle sequenze d'azione e mantiene in crescendo la tensione nonostante non succeda poi granché, quanto per la traslazione in terra russa dell'immancabile patriottismo ed eroismo americani. Retorica di approccio che si esaspera in un finale eterno e ridondante (e anche un po' ridicolo nel trucco posticcio con cui invecchia gli attori). Lo spettacolo, se ci si accontenta, è comunque garantito.

Ma insomma chi è questa Bigelow? Si giustifica il clamore critico che accompagna ogni uscita di un suo nuovo film? Dopo una prova controversa ma affascinante (IL MISTERO DELL'ACQUA) la nostra mette da parte psicologismi ed ellissi narrative per firmare un solido e professionale "film di sommergibile" (un filone a sé, si diceva nelle code veneziane) in cui, facendo un uso indiavolato della handycam, scorrazza bellamente da un punto all'altro del sottomarino regalandoci l'ulteriore roboante riprova di un talento tutto speciale per questo tipo di funambolismi. Il film, se da un lato paga tutti, ma proprio tutti, i debiti al (sotto)genere - compresa la disputa tra il comandante in prima (un Ford sorprendentemente in parte) e quello in seconda (un anodino Neeson), con concitate minacce di ammutinamento secondo copione - dall'altro ha, soprattutto nella parte centrale, con l'avaria al reattore e gli effetti devastanti che le radiazioni hanno sulle squadre che tentano di ripararlo, una drammaticità rimarchevole: in questo, che è senz'altro il passaggio più memorabile della pellicola, dramma e tensione raggiungono il parossismo, l'attenzione al lato umano dei personaggi, solo accennato all'inizio, diventa risvolto ben dettagliato e il film da semplice e convenzionale, quasi banale catalogo di stereotipi, acquista una marcia in più e un vero motivo di interesse. Peccato per la fallimentare parte finale, tutta meccanica e retorica (sorvolo volentieri sul discorso "regista americana parla dell'eroismo dei soldati sovietici"), che mal si concilia col resto del film e nel quale la Bigelow abdica totalmente alla sobrietà. Il film, nell'edizione italiana, ha subito dei tagli rispetto alla versione vista al Festival di Venezia di quest'anno.