Drammatico, Recensione

L’AFFIDO

Titolo OriginaleJusqu’à la garde
NazioneFrancia
Anno Produzione2017
Durata90'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Myriam e Antoine Besson hanno divorziato, e Myriam cerca di ottenere l’affido esclusivo del figlio Julien per proteggerlo da un padre che ritiene violento. Antoine perora la propria causa di padre disprezzato e il giudice assegnato al caso decide per l’affido congiunto. Vittima del conflitto sempre più esacerbato tra i suoi genitori, Julien viene spinto al limite per evitare che accada il peggio.

RECENSIONI

L’unica opera prima in Concorso al Festival di Venezia 74 indaga il sotterraneo dietro a una separazione. La situazione pare ordinaria, un uomo e una donna come tanti che si contendono l’affidamento dei figli. Il film parte con un’udienza il cui lo spettatore è posto nella stessa situazione del giudice che deve decidere se concedere o meno l’affidamento congiunto. Non semplice cercare di capire chi mente e chi dice la verità, anche perché i personaggi vengono presentati ad arte per non facilitare il disvelamento della maschera. Il dialogo avviene quasi esclusivamente tramite gli avvocati difensori, a dimostrazione dell’impossibilità di trovare, attraverso ragione e buon senso, un punto di incontro in grado di sedare gli animi. Lei dice che lui è violento ma non ha prove tangibili da mostrare. Lui dice che lei mente, erige muri, non si fa mai trovare e manipola i figli contro di lui. Per buona parte del minutaggio la regia asciutta ed essenziale di Xavier Legrand (pluripremiato per il cortometraggio Avant que de tout perdre, anche candidato all’Oscar 2014) si mantiene sul filo dell’ambiguità. La sceneggiatura butta lì qualche esca, ma sembra non prendere posizione cercando di non mostrare mai lei come vittima e lui come carnefice (aspetto da orco a parte). Fino a quando tale distanza si mantiene il film procede problematico e mostra con efficacia contraddizioni, insicurezze, bugie, dinamiche familiari portate all’estremo e ragioni e torti ormai talmente intrecciati da formare un dedalo inestricabile. Il punto di vista dello spettatore si àncora al disagio del piccolo Julien, il figlio minore della coppia, che si trova sempre di più testimone di situazioni e scontri che non dovrebbero coinvolgerlo e di cui diventa, invece, il fulcro, l’oggetto del contendere e a cui risponde con le uniche armi che ha a disposizione: la parola (quando riesce a sovrastare la violenza verbale che lo circonda), il pianto e la fuga. Nel momento in cui, però, le carte si scoprono, e diventa chiaro per chi parteggiare, il film si sgonfia perdendo la problematicità delle premesse e indirizzandosi verso l’horror e la strada dell’home invasion. Scelta che non incide sulla tensione del racconto, sempre alta, anzi, con alcuni picchi, ma che limita la portata del conflitto a un più scontato scontro tra buoni e cattivi. Al Festival di Venezia ha ottenuto due importanti riconoscimenti: il Leone d’Argento per la Migliore Regia a Xavier Legrand e il Leone del Futuro per la Migliore Opera Prima. Forse troppo.