TRAMA
Un miliardario riesce a costruire un parco di dinosauri ricreati geneticamente su un’isola al largo del Costa Rica. Per inaugurarlo chiama alcuni esperti: tra gli altri, un paleontologo e un matematico. Le cose, ovviamente, non andranno come previsto.
RECENSIONI
Si è soliti liquidare "Jurassic Park", non senza ragione, come uno Spielberg minore, giocoso, innocuo, anestetizzante, anodino e via bamboleggiando. Si individuano gli errori di sceneggiatura (alcuni macroscopici), la debole caratterizzazione dei personaggi, la facile morale sull'imprevedibilità della scienza e via criticando. Molte di queste osservazioni sono giuste, altre viziate da pregiudizi. "J.P." non è un bel film, è pieno di difetti, astuto e furbo, ipertecnologico, decisamente inferiore al bel romanzo di Michael Chricton. Eppure c'è un qualche cosa che lo rende diverso dal resto della produzione hollywoodiana di intrattenimento. Questo qualche cosa è l'ironia, la auto-parodia. Spielberg segna, nel 1993, il "non plus ultra" del cinema-giocattolo assegnado ai "figli" preistorici del "King Kong" del 1933 (esattamente sessanta anni dopo) il compito di divorare l'ultimo pop-corn, di deridere la "fictio" cine-tecnologica proprio nel momento in cui gli effetti speciali computerizzati raggiungono il più alto grado di perfezione e di realismo. Gli attori sono letteralmente schiacciati dalla grandiosità del gioco preistorico ed annichiliti dalla perfezione delle creazioni digitali. Ma l'atteggiamento del "creatore", del parco e del film? Spielberg, intelligente ed abile uomo di spettacolo, oltre che regista sopraffino ed autore a volte sorprendente (basti pensare all'ultimo sottovalutatissimo "A.I."), è John Hammond, il Dio cui sfugge di mano ciò che ha creato, che gioca con la perfezione, che si moltiplica dando lezioni di genetica/cinema, che ripensa nostalgico all'infantile sogno di un circo di pulci (e dei filmini girati con la cinepresa del padre). Gioca con la "ri-creazione" digitale, con i dinosauri che spesso sembrano guardare in macchina ed indirizzare al loro creatore un sorriso beffardo. Come il miliardario alla fine del film, Spielberg abbandona malinconico il gioco artificiale lasciando l'isola in mano all'artificio ribelle, conscio dei limiti di un cinema tecnologico che rischia di diventare disumano (riproducendo alla perfezione ciò che è irreale si palesano le imperfezioni dell'uomo, che nessun computer potrà mai cancellare). Il regista tornerà sull'argomento con "Lost World". L'aspetto metafilmico sarà ancora più evidente, l'atmosfera più cupa. Sembra già di essere nel regno dei morti (non a caso si cita "Nosferatu").
Ha imposto le immagini digitalizzate nel blockbuster: Steven Spielberg, per dar vita al suo parco divertimenti, s’affida principalmente alla verosimiglianza del reparto effetti speciali per replicare animali estinti e farli interagire con riprese dal vero. La magia è resa possibile dalla sinergia fra la Computer Generated Image della ILM di George Lucas (nella fattispecie, il lavoro di Dennis Muren), gli animatronics di Stan Winston (modelli a grandezza naturale) e il passo uno di Phil Tippet (solo per la consulenza sui movimenti dei dinosauri). Al cinema fece scalpore e l’immersione, con l’ausilio del Digital Sound, era totale, un’esperienza meravigliosa, (in)credibile. È anche comprensibile che, con i milioni spesi per produrre e promuovere una pietra miliare della tecnica, Steven Spielberg (che ha seguito la post-produzione via internet: stava girando Schindler’s List) non abbia voluto rischiare troppo, affidando la stesura finale della sceneggiatura a David Koepp, dopo una prima bozza firmata dall’autore del romanzo Michael Crichton (che torna a parlare di pericoli della scienza piegata all’intrattenimento, dopo Il Mondo dei Robot): il racconto fantastico e le caratterizzazioni ampiamente modificate s’affidano a convenzioni commercia(bi)li, puntando molto sulla commedia (divertente), con Richard Attenborough che interpreta una sorta di Nemo in L’Isola Misteriosa di Jules Verne, non complicando troppo la trama con riflessioni etico-scientifiche (ma qualcosa c’è). Eppure, anche in questa logica, stupisce il taglio horror ispirato a Il Re dei Mostri voluto dal regista, inusitato in un “film per famiglie”: sequenze agghiaccianti, che lasciano con il fiato sospeso e confermano il talento già all’opera in Lo Squalo. Gli esterni naturali con gli attori in carne ed ossa sono stati girati, in gran parte, nell’isola hawaiana Kauai.