TRAMA
Johnny rincontra l’ex-fiamma Vienna in un locale da lei gestito. Scopre che dà rifugio ad una banda di malviventi.
RECENSIONI
Non è facile aggiungere qualcosa a quanto non sia stato già detto e stradetto, soprattutto a partire dalla re-visione/ri-visione di Nicholas Ray da parte degli autori della nouvelle vague, riguardo a un film enorme come Johnny Guitar. Ray, cineasta non classico all’interno di una Hollywood che si sta sconquassando sotto i colpi del periodo maccartista, gira un western antifordiano, e dunque non classico, sulla classicità del western, quando ne aveva già realizzato uno, Il temerario (The Lusty Men) due anni prima, nel 1952, per certi versi non dissimile da Johnny Guitar.
L’ossessione del tempo torna (e tornerà spesso, fino all’ultimo struggente wendersiano Nick’s Movie) ad occupare la centralità della riflessione nel cinema bigger than life di Nicholas Ray. Qui il tempo è fondamentalmente quello del cambiamento, o meglio del passaggio inesorabile dal vecchio al nuovo che incombe. Il saloon di Vienna diviene il fulcro suo malgrado di questo mutamento, il luogo a-geometrico, perché vuoto, in delimitabile, vago nella sua forma architettonicamente quasi fusa con la natura, attraverso il quale hegelianamente deve compiersi questo passaggio storico. Il saloon è arroccato sul monte così come rimane disperatamente aggrappato al passato di frontiera, baluardo contro un avvenire ignoto e inquieto rappresentato dalla ferrovia. Ray vive di persona il dramma di coloro che stanno subendo questa metamorfosi della Storia e si schiera nettamente dalla parte di chi intende non compiere il passo verso il futuro. Vienna, Johnny e Old Tom sono figure “grandi” e descritte nel fulgore della loro simbolicità, nello scenario baroccamente vonsternberghiano del Trucolor di Harry Stradling in cui tutto viene esemplarizzato nell’estremizzazione della finzione, sono simboli del vero che Ray accende di appassionato colore per garantirne differente dignità ontologica rispetto alla “piccolezza” scura e sbiadita di Emma, dello sceriffo e di McIvers, rappresentanti della medietà cittadina in linea con i tempi nuovi, coloro a cui non basta più “una tazza di caffè e una buona fumata”. Johnny e Vienna sono accomunati dalla stessa collocazione di piano: nelle loro prime inquadrature guardano l’ “altro” dall’alto verso il basso, Johnny sul costone della montagna guarda la rapina alla diligenza, Vienna guarda Emma e gli altri dal soppalco del saloon, superiorità che si ripeterà anche nel finale con Vienna in alto e Emma in basso, la cui parificazione di livello coinciderà automaticamente con la morte di quest’ultima.
Joan Crawford e Sterling Hayden superbi e grandi caratteristi come John Carradine, Ben Cooper ed Ernest Borgnine per un film indimenticabile.
