TRAMA
La vicenda di Giovanna d’Arco riproposta in chiave ospedaliera, come opera lirica moderna che trova nella novella Johanna un’eroina sui generis, con un passato da tossica e un presente di infermiera contestato dai benpensanti. Tra le corsie di una clinica che i baroni della medicina vorrebbero riportare all’ordine, si prepara forse un nuovo rogo…
RECENSIONI
Giovanna d'Arco brucia in corsia
Presentato ad Alpe Adria come evento inaugurale della sezione “Immagini”, Johanna è un concentrato di visionarietà e anti-conformismo che difficilmente poteva passare inosservato. E infatti così non è stato: dopo essere passato a Cannes l’anno prima, nella sezione “Un Certain Regard”, dopo aver raccolto in Ungheria diversi premi e il plauso di gran parte della critica, anche a Trieste la sconcertante pellicola di Kornél Mundruczó si è fatta notare, trascinando il pubblico in un’atmosfera melodrammatica dalle coordinate decisamente stranianti. Già, perché Johanna è un film concepito come opera lirica contemporanea, la cui vicenda straziante si imbeve di coloriture acide, di immagini sgranate, che hanno per oggetto le corsie di un fatiscente ospedale, spesso percorse da interminabili carrelli e avvolgenti piani sequenza. Verrebbe quasi da pensare a The Kingdom di Von Trier, ma il giovanissimo Kornél Mundruczó è un talento che cerca sempre e comunque un sentiero personale, da riempire con ritratti lividi e sofferti di personaggi che vivono ai margini della società. In questo lo ha assistito, nella circostanza, il volto intenso, seducente, di Orsolya Tóth, novella Giovanna d’Arco. La sua Johanna è una ragazza dal vissuto problematico che quasi per caso finisce, dopo la tossicodipendenza, nell’ospedale dove un giovane medico si innamora di lei e le offre un lavoro da infermiera. Ma Johanna concepisce il suo ruolo differentemente dal senso comune, offre con generosità il suo corpo alle più sofferenti tra le persone ricoverate in clinica, mentre il sentimento del medico è di natura prettamente possessiva. La gelosia lo porta quindi a schierarsi con quel personale medico che vorrebbe sbarazzarsi di lei e dei suoi metodi poco ortodossi. Si crea quindi una dicotomia, che i momenti di musical accentuano drammaticamente: da una parte i potenti dell’istituzione ospedaliera con le loro oscure trame, dall’altra i pazienti che insorgono sostenendo Johanna e la sua generosità fuori dal comune, o la sua provocante innocenza, per dirla in altro modo. Sicuramente per lei si sta preparando un rogo, quale forma assumerà nella nostra “civilissima” era? Il regista ungherese si dimostra perciò abile a infarcire la pellicola di provocazioni formali e tematiche borderline, il tempo probabilmente ci dirà fino a che punto la sua poetica sia sincera. Intanto, quasi a certificare la validità del suo operato, si può rilevare che il film è stato prodotto dal grande Bela Tarr, nato venti anni prima dell’emergente Kornél Mundruczó, classe ’75 e tanti progetti cinematografici già all’attivo. Senza esagerare, ma a livello generazionale non è poi così azzardato intravedere nella realizzazione di Johanna un simbolico passaggio del testimone, all’insegna di quella sperimentazione linguistica che il cinema ungherese continua stoicamente a proporre.
Stefano Coccia