Azione, Recensione, Spionaggio

JASON BOURNE

Titolo OriginaleJason Bourne
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata123'
Tratto dadai personaggi creati da Robert Ludlum
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Jason Bourne è tornato.

RECENSIONI

A nove anni di distanza dal terzo capitolo della saga 'ufficiale', Jason Bourne ritorna in azione, più tormentato e(/benché) più indistruttibile che mai. Sepolta la ferocia dell'agente killer nella 'semplice' brutalità del lottatore clandestino, la cellula dormiente viene risvegliata da un volto proveniente dal passato, che consegna la chiave (letterale) per interpretare la scena primaria da cui scaturì la decisione fatale. Nel frattempo le informazioni, come al solito, proliferano e si moltiplicano, riflettendosi e smentendosi a vicenda: nel momento in cui si crede di poter controllare la situazione, si è già stati beffati da qualcuno più scaltro, o forse solo più disilluso. Uscito (definitivamente?) di scena il produttore Doug Liman, confermato alla regia l'ipercinetico Greengrass (come sempre devoto alla sovrapposizione dei piani - e dei racconti - del reale), il film svolge diligentemente, seppur senza voli, il tema dato (siamo tutti in pericolo, anche e soprattutto quando abbassiamo la guardia - esiste il perdono, non l'oblio), si insinua con sufficiente abilità nell'attualità geopolitica (la sequenza ateniese, il panico per le vie della City, la convention di un imprenditore simil-Zuckerberg in salsa mediorientale) e, quel più conta, non perde di vista l'obiettivo primario, vale a dire il confezionamento di un intrattenimento spettacolare, monocorde ma non ottuso, che solo a tratti (il duello finale con il tiratore scelto Vincent Cassel) sembra interminabile perché ripetitivo (e viceversa).

“Mi ricordo tutto”: inizia così, ricollegandosi a The Bourne Ultimatum di dieci anni prima, il quarto (quinto se si conta lo spinoff The Bourne Legacy) capitolo della saga cinematografica della creatura di Robert Ludlum, una delle più riuscite per invenzioni e risultati nel campo del cinema d’azione. Paul Greengrass, che ha prestato i suoi stilemi di camera mossa e montaggio d’assalto a un brand di genere e di richiamo hollywoodiano, è impegnato per la prima volta anche in sede di sceneggiatura (è uscito di scena Tony Gilroy), e apre con un lunghissimo brano che ritrae tafferugli fra dimostranti e polizia in Grecia (la piazza Syntagma di Atene è stata ricostruita a Tenerife) che lo riporta a Bloody Sunday. Tematicamente, ama sottolineare la natura da lupo solitario di una macchina assassina che si rifiuta di sottostare ai servizi segreti: con il senno di poi (cinico il finale), fa bene, dato che gli assassini come lui vengono clonati nel modo di agire e pensare non appena li abbatti. Ma bando all’autorialità: a parte i brani sulla genesi di Bourne, l’opera è tutta votata all’azione, dall’apertura citata, passando a Perché un Assassinio (il sicario durante la conferenza), fino agli inauditi sfasci di automobili (170) per le vie di Las Vegas (cinque settimane di lavorazione).