Drammatico, Recensione

JAPÓN

TRAMA

Un uomo lascia la sua città e si immerge nel cuore del Messico più povero.

RECENSIONI

Il film di Reygadas, menzione speciale per la Camera d’or al Festival di Cannes 2002, arriva solo adesso sui nostri schermi, scommessa distributiva suicida che, lo diciamo senza remore, vale la pena raccogliere. Un uomo si addentra nelle montagne del Messico: ha lasciato dietro le spalle la metropoli e il suo fluire alienante, per ritrovarsiriconoscersi nella miseria di un Messico che si aggrappa alle pietre per sopravvivere, che non conosce elettricità né acqua corrente; in questo ritorno drastico all’essenza vuole preparare la sua morte rituale, porre fine al suo percorso esistenziale ed è qui che invece, alla fine di un viaggio - anche mentale -, dalle tenebre alla luce, ritrova il gusto della vita, la spinta alla lotta, persino il desiderio sessuale che si concentra – le strade della concupiscenza fanno incontrare strani compagni di viaggio – sull’anziana donna che lo ospita (la scena dell’accoppiamento ha una sua disperata tenerezza). A metà strada tra il naturalismo herzoghiano e il cinema meditativometafisico di Tarkovskij, JAPON, povero come la realtà che descrive, aspro e crudele come la natura che circonda l’umanità sperduta che racconta, girato in cinemascope con attori non professionisti, autoprodotto, con un montaggio ridotto all’essenziale (componendosi di prevalenti pianisequenza) e un sapientissimo uso delle musiche (si pensi solo al brano di Arvo Part che accompagna il bellissimo, enigmatico finale) è film di sgranata contemplazione, astratto e concreto ad un tempo, asciutto e coraggioso, che rivela, pur nelle sparse indecisioni, una visione e uno stile già maturi (il regista ha poco più di trent’anni). In sala non c’è nulla di interessante da mesi, può forse concedersi una possibilità a una pellicola certo non facile e a tratti sgradevole ma che ha l’indiscutibile merito di non somigliare a nessun’altra e che è ulteriore dimostrazione di come il cinema può ancora sfuggire alle trappole industriali e culturali nelle quali si cerca regolarmente di recluderlo. Sul titolo, così il regista:
Credo che i titoli dei film tendano ad essere troppo descrittivi e credo che debbano essere invece più evocativi. Sicuramente una parola può evocare sensazioni differenti per persone differenti ma è solamente un invito allo spettatore per condividere il film con me su livelli diversi. Potremmo anche discutere sulla scelta di Tery Gilliam del titolo BRAZIL…