JAGODA: FRAGOLE AL SUPERMARKET

Titolo OriginaleJagoda u supermarketu
NazioneYugoslavia/Germania/Italia
Anno Produzione2003
Genere
  • 66650
Durata83'
Sceneggiatura
Fotografia
  • 46449
Montaggio

TRAMA

Fragola, giovane commessa del primo supermercato americano aperto a Belgrado, sogna d’incontrare il grande amore. Una sera, dopo che la collega Ljubica ottiene un appuntamento con il vicino di casa, sfoga la frustrazione trattando male un’anziana cliente. Il giorno successivo, il nipote della vecchietta irrompe nel supermercato armato fino ai denti, prendendo tutti in ostaggio per reclamare giustizia.

RECENSIONI

Ancora un perdibile film dall'Ex-Jugoslavia che prende a modello Emir Kusturica (che si ritaglia un cameo e il ruolo di produttore) per mettere in scena il solito teatrino di varia umanità stralunata. Le ambizioni sono alte: rappresentare le contraddizioni di un popolo privato di un'identità e bersaglio della colonizzazione occidentale, sottolineare i rischi del consumismo, evidenziare l'inutilità della violenza per la risoluzione dei conflitti e infondere un po' di ottimismo nonostante tutto. Peccato che il risultato sia quanto di più frusto si possa elaborare in materia. La storia è poco più di un aneddoto da bar: un uomo prende in ostaggio un intero supermarket, costruito da poco con finanziamenti americani; deve vendicare l'arroganza subita dalla nonna, a cui è stato impedito di acquistare le fragole per preparargli la torta di compleanno. Purtroppo lo spunto diventa un imbarazzante perno narrativo e a nulla vale il tentativo di cercare una fuga nel surreale perché a dominare sono luoghi comuni, banalità e noia. Mai e poi mai si arriva a stabilire la necessaria complicità con gli antipatici personaggi, marionette esagitate al servizio di dialoghi didascalici e situazioni demenziali. A prendere il sopravvento è ancora una volta l'ideologia, e la critica sociale ha la consistenza di una lezioncina impartita da chi ha tutte le risposte senza la preoccupazione di doverle poi mettere in pratica. Il punto di vista, infatti, è fin dall'inizio unilaterale e mai davvero problematico, cerca la lucidità ma arriva appena allo slogan. Il massimo dei battutoni prevede un cecchino che si fa la cacca addosso o l'esasperata ricerca di un profumo di marca come prova d’amore. Se la satira spalanca la bocca incapace di mordere, non è che il cinema faccia miglior figura, e non solo per il budget risicato: fotografia orribile, regia del debuttante Dusan Milic (colpevole anche della sceneggiatura) priva di personalità, direzione degli attori inesistente, errata gestione dei tempi comici (gag sbrodolate e ridondanti) e sonorità scoppiettanti alla Bregovic che conferiscono al racconto un'aria di variopinto (ma ruffiano) guazzabuglio da esportazione.