TRAMA
Izo, un samurai guerriero e spadaccino così bravo da essere stato soprannominato “il Macellaio”, viene messo a morte. Ma Izo è consumato dal desiderio di vendetta e la sua anima non può andare né in paradiso né all’inferno. Si reincarna, invece, in un nomade contemporaneo, un demone in forma umana, la cui sete di vendetta, sangue e omicidio non può placarsi, neanche quando l’uomo che intende uccidere è Sua Altezza Imperiale.
RECENSIONI
Delirium tremens
C’è un genio riconosciuto che oramai da molti anni si aggira per il Giappone. Il suo nome è Miike. Un suo stuolo di ammiratori si è presentato alla prima veneziana ben disposto, applaudendo fin dai titoli di testa, mentre tra il prolungato e prematuro scrosciar di mani già si udiva lo sghignazzare sincopato e compiaciuto di Quentin Tarantino (seduto in prima fila). Ma perché esaltarsi di fronte a, nell’ordine: iterate scene di violenza iperrealista, rifilateci senza nessun tipo di ritegno, ammantandosi dell’idea pretestuosa dell’allegoria dell’angelo della vendetta, anarchico e crudele, venuto a chiudere i conti con il Sistema; salti spazio-temporali che dovrebbero/vorrebbero essere spiazzanti e “autoriali” ma che finiscono con l’infastidire, non essendoci alcun tipo di logica (neppure “anti”) o metodo nella follia di Takashi; momenti di puro lirismo (il bruco che diviene farfalla) di cui pare impossibile riuscire a cogliere il senso o il non-senso dopo due ore di sbudellamenti; ammiccanti citazioni da Kurosawa che sono il solito contentino per i cinefili che “vogliono farsi piacere” questo tipo di cinema. E non mi si venga a parlare di post-moderno, categoria in nome della quale oggi si difendono le cose più ignobili.
Checché ne dicano gli estimatori, per il sottoscritto c’è del marcio in Giappone…

Ultraviolenza, arti marziali e tanto, tanto sonno
Miike Takashi è un regista molto prolifico, quasi invisibile in Italia dove i suoi film circolano perlopiù tra festival e cineclub. Il suo è un cinema iper-violento e morboso che, con sadismo e compiacimento, sfida le convenzioni e il buon gusto seguendo le coordinate di uno stile sovraeccitato e un po' folle. Se "Audition" lascia inquieti e "Ichi the killer" sposta i confini del mostrabile, riuscendo però a essere davvero liberatorio, con "Izo" ci si trova davanti a un delirio che diventa presto insostenibile. Non tanto per la violenza esibita a ogni inquadratura, quanto per la ripetitività (il film potrebbe durare cinque minuti come non finire mai) e la noia, che finisce per regnare sovrana. La storia è molto elementare e prevede la vendetta compiuta da un samurai, detto "Il macellaio", messo a morte e poi reincarnato in un nomade. Il film è la cronaca della sua vendetta attraverso un infinito susseguirsi di truci combattimenti con ogni possibile tipologia di arma. Come intermezzo ai litri di sangue sperperato ci sono eterne canzoni, filmati d'epoca e dialoghi dallo scarso valore aggiunto. C'è pure lo spazio per qualche stoccata al sistema (i bimbi a scuola pronunciano frasi come "Cos'è la rivoluzione? Uccidere la gente!", "La democrazia è ipnosi", "La nazione è una fissazione maligna della mente umana", "L'amore è un simbolo fonetico") e per un cameo di Takeshi Kitano. Ma l'azione non poggia nemmeno sul carisma dei personaggi, che si limitano ad essere fugaci pedine di un massacro. Anche l'amante dello splatter avrà poche occasioni di divertimento (la sequenza migliore è forse l'uccisione della madre che, tranciata di netto a metà, resta solo con il busto avvinghiata tra due alberi). Troverà invece estimatori in chi spranga il proprio spirito critico davanti a tutto ciò che viene dall'oriente e in cui è immischiato, anche solo marginalmente come in questo caso, Beat Takeshi.
